Perché sono dalla parte dei migranti africani

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Antonella Sinopoli 

Preferisco i paesi conquistati a quelli conquistatori – da Possibilità di Wislawa Szymborska

Abbiamo sempre una possibilità, tutti. Solo che le possibilità non sono le stesse per tutti. Non sono generate dalla stessa valvola di ottimismo, dalla stessa speranza di successo o dalle medesime condizioni di partenza. Alcune sono possibilità indotte, provocate da spinte esterne di cui noi siamo solo un organismo debole che le subisce e le consuma.

Ma è sulla base delle possibilità, della possibilità di scelta, che si misura la giustizia, che si misurano i diritti umani, che si misura la veridicità o meno di quei Trattati internazionali e di quelle parole che tanto hanno gioco nelle dichiarazioni di chi in questi ultimi anni e nei secoli scorsi ha giustificato i crimini più orrendi.

In nome della civilizzazione prima e della democrazia poi la forte Europa e gli Stati Uniti hanno disumanizzato l’umanità. L’altra umanità. Prima occupandone i territori, poi sradicando milioni di persone (Tratta Atlantica) utilizzate per costruire il proprio benessere economico e sociale e ancora – negli anni successivi alla decolonizzazione – attuando da un lato politiche di aggiustamento strutturale che avrebbero strangolato e tolto autonomia alle economie africane e dall’altro avviando una serie di accordi per tenere in piedi dittature e governi repressivi che però garantivano agli Stati e alle compagnie occidentali lo sfruttamento delle risorse interne. Risorse senza le quali l’Europa subirebbe una crisi per più ampia e letale che quella degli immigrati.

Il problema è che il saccheggio dell’Africa continua, a cominciare dal furto della terra. Una delle motivazioni – o forse la principale – a quella migrazione economica che viene spesso citata come se fosse un crimine anziché una condizione sociale dei nostri tempi.

Sono cose risapute? Non mi pare. Lo conferma la dialettica superficiale che in questo periodo sta circondando la questione migrazione. Ora che questo “strano” Governo ha sdoganato fascismo e razzismo si è scatenata non solo “la caccia al negro” ma anche una compulsiva gara a dire la propria sugli immigrati. Si dice così tanto – ma nello stesso tempo così poco visto la banalità delle frasi slogan – che verrebbe voglia di chiudersi in un silenzio catartico e “riparatore”.

Ma questo non è possibile, non è una possibilità che va presa in considerazione. Proprio oggi, proprio adesso è il tempo di parlare, reagire, contrastare l’onda sporca che continua a lasciare melma sulla spiaggia, pulire, ordinare.

Nella fretta di buttare fuori l’odio che covava dentro abbiamo perso un’occasione, quella di “usare” il fenomeno migratorio per avviare un’utile riflessione collettiva. Una riflessione che andava fatta a livello politico, nelle scuole, nei libri di testo, nei teatri, nelle discussioni tra amici.

Sarebbe stata una riflessione che avrebbe rispolverato la Storia e che avrebbe potuto anche, e finalmente, aprirci alla Storia e alla conoscenza delle culture africane. Perché, insomma, la verità è che permane il concetto hegeliano che l‘Africa non ha Storia, gli africani sono selvaggi e devono ringraziare la tratta se sono entrati nella civilizzazione.

Si era in pieno Secolo dei Lumi e questo potrebbe almeno farci riflettere su quanto le nostre valutazioni siano così poco razionali, illuminate, assolute. Direi, semmai, imperfette. O anche errate.

E si potrebbe anche magari essere pietosi di tanta ignoranza e supponenza (Hegel, per esempio, non aveva mai messo piede in Africa, come – cambiando tema – non ce l’aveva mai messo il feroce Leopoldo II, re del Belgio il cui sfruttamento del Congo fece 10 milioni di vittime in 23 anni). Ma no, essere pietosi dell’ignoranza non si può. L’ignoranza è pericolosa e maligna. Soprattutto quella di chi sfoggia titoli accademici.

Il veleno che sta in un titolo del genere: “Sì, c’è un abisso tra noi e gli africani. L’Occidente ha una cultura superiore” è pari solo alle assurdità del testo: “È l’abisso tra la civiltà occidentale cristiana e il resto del mondo, non solo l’Africa. I diritti dell’uomo, universali e inalienabili, le libertà personali, il valore di ogni vita, questa è la tradizione occidentale. Dall’altra parte invece c’è una tradizione di diritti legati agli status, a sua volta determinati principalmente da fattori quali il sesso e l’anzianità di nascita, quindi una tradizione di discriminazioni e limitazioni delle libertà personali: in Africa il tribalismo, in India le caste, dappertutto l’inferiorità e lo sfruttamento di donne e bambini.

A chi afferma simili fandonie ricordiamo che la prima Carta dei Diritti Umani, la Carta di Manden, fu elaborata in Africa. Era il 1236. Nella Carta si stabilisce tra l’altro il diritto alla vita e i diritti delle donne. Non a caso è stata riconosciuta come uno dei primi esempi, se non il primo – di Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Ricordiamo anche che riguardo alle tribù esistono fior fiore di ricerche sul ruolo che le potenze occidentali ebbero nello stabilire divisioni e fratture e la supremazia di alcune popolazioni su altre allo scopo di controllare meglio i possedimenti coloniali. Divide et impera. Per inciso anche in Italia esiste un sistema delle caste su base sociale e di potere: politici, medici, manager, giornalisti…

Chi parla spesso non conosce le società africane, non sa nulla. Non sa nulla neanche chi ha detto nei giorni scorsi (non ha neanche senso citarlo): “il futuro degli africani è in Africa“.

E allora il futuro di chi l’ha detto è in Italia, non negli Stati Uniti dove si trova ora. Allora è in Italia il futuro degli oltre 124mila italiani che nel 2016 sono emigrati all’estero. E allora è nel loro Paese di nascita il futuro di tutti quegli imprenditori o studenti o lavoratori che hanno aperto aziende, che lavorano, che vivono in Africa. Me compresa. Ma no, noi siamo viaggiatori, noi siamo espatriatri, noi siamo intraprendenti e coraggiosi.

Forse, semplicemente noi abbiamo quella famosa possibilità. E abbiamo passaporti e l’accesso ad una politica dei visti e della mobilità che praticamente ci apre le porte al mondo intero. Una politica dei passaporti e dei visti formulata dall’Occidente e che mirava sempre di più a creare barriere, a dividere il mondo tra privilegiati e poveri Cristi, e che alimenta di fatto il mercato degli esseri umani e i viaggi disperati attraverso il Mediterraneo.

Ma noi non rientriamo nel novero dei morti di fame, non siamo mai un numero, non siamo mai quelli da fotografare e mettere sui giornali senza rispetto né pietà. Noi andiamo a portare lavoro, civiltà, occasioni (così dicono). Noi siamo superiori, la nostra cultura è superiore, come si legge in quel bel titolo di giornale.

Siamo tanto superiori che invece di guardare e studiare le cause di un fenomeno ci limitiamo a guardarne gli effetti, che invece di verificare cosa c’è dietro gli slogan ce li stampiamo sulla fronte. Che invece di chiedere “perché” attacchiamo chi non si arrende a questa carica di pressappochismo con il termine “buonista” che poi, alla fine, sta per fesso. Anzi, più che fesso “nemico”. Vuol dire creare delle nette divisioni: con me o contro di me.

C’è un momento in cui la maggioranza (o quella che sembra esserlo) deve far paura. E in questo momento siamo già dentro.

La voglia di tacere alle frasi d’odio o alle immagini e ai video manipolati o tagliati ad arte per accreditare certe teorie è grande perché per resistere ci vogliono energie, ci vuole continua attenzione, ci vuole studio. La voglia di spegnere tutto e attendere (e sperare) che il marcio defluisca è forte. Ma il nostro compito è un altro.

Il nostro compito è fare informazione, provocare magari riflessioni e voglia di  approfondire. Trovare le parole di questi tempi non è facile ma quelle che sicuramente non useremo e non avalleremo mai sono quelle legate alla mancanza di conoscenza, all’odio preconcetto, ai complottismi vari.

Oggi, più che mai c’è bisogno di resistenza e resilienza. Stiamo dimostrando quanto sia facile cadere nella barbarie istituzionalizzata, nella barbarie che si ammanta… Continua su vociglobali


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