Il quarto venerdì della grande marcia per il ritorno e per la fine dell’assedio della Striscia di Gaza

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Il quarto venerdì della Grande Marcia per il Ritorno e per la rottura dell’assedio delle Striscia di
Gaza, le Forze israeliane hanno continuato ad usare forza letale contro civili palestinesi, che
manifestavano pacificamente, uccidendo 4 civili, tra cui un ragazzo di 15 anni, e ferendone 645,
tra cui 41 bambini, 12 donne e 1 giornalista.
Per la quarta settimana consecutiva e su decisione dei più alti vertici militari e politici israeliani, le
forze israeliane hanno usato forza letale contro manifestanti pacifici. Così, il bilancio complessivo
delle vittime, dal 30 marzo, è salito a 37 (41 se si aggiungono le 4 persone prese di mira ed uccise,
mentre transitavano su un risciò ben lontano dalla barriera), tra cui 4 bambini e 1 fotoreporter,
mentre il numero di quelli feriti è salito a quasi 4500 (nella cifra son compresi anche gli intossicati
da gas), tra cui 410 bambini, 66 donne, 22 giornalisti e 9 paramedici. I feriti colpiti da munizioni
vere sono stati 1.539, quelli da proiettili rivestiti di gomma 388, gli intossicati dai gas 1.878. Negli
ospedali 134 feriti versano ancora in gravi condizioni, in 17 casi è stato necessario ricorrere ad
amputazioni di arti. (Fonti Ministero sanità).
Medici Senza Frontiere (MSF) riferisce inoltre: “Lo staff medico di MSF ha ricevuto pazienti con
lesioni devastanti di una gravità insolita, estremamente complessi da trattare”, e che “Le ferite
riportate dai pazienti lasceranno la maggior parte con gravi disabilità fisiche a lungo termine”.
I 5 campi del ritorno, questo venerdì erano stati trasferiti di 50-100 metri più vicino alla barriera
di confine e circondati da barriere di sabbia. A loro volta le forze israeliane avevano aumentato
l’altezza delle colline su cui poggiavano i 120 cecchini israeliani, che potevano avere così una
visione più chiara dell’area e delle persone da prendere di mira.
Al mattino, gli aerei israeliani avevano lanciato migliaia di volantini, avvertendo i Palestinesi che
sarebbero stati presi di mira se si fossero avvicinati o avessero tentato di danneggiare la barriera
di confine. A questi i Palestinesi hanno risposto con messaggi di sfida appesi ad aquiloni che il
vento ha portato oltre la barriera sopra la testa degli israeliani.
In alcuni casi agli aquiloni sono state appese bombe molotov, che non hanno tuttavia arrecato
danni.
Le dimostrazioni, secondo gli osservatori sul campo, del PCHR (Centro per i diritti umani dei
Palestinesi) sono state come sempre del tutto pacifiche, con centinaia di migliaia di civili, anziani,
donne, bambini, intere famiglie che andavano e venivano dall’interno verso i campi, sollevando
bandiere, scandendo slogan e inni nazionali e lanciano tanti aquiloni volanti. Ancora una volta, per
ridurre la visibilità dei cecchini, sono stati bruciati copertoni di gomma, gli ultimi rimasti, perché su
di essi è stato posto l’embargo. E’ stata una giornata di sfogo e libertà con esibizioni folcloristiche e
sportive, e incontri di donne che sono state le protagoniste della giornata.
Ciononostante le forze israeliane hanno pesantemente utilizzato gas lacrimogeni mirando al
centro delle manifestazioni e provocando gravi crisi respiratorie e convulsioni. Non sono stati
risparmiati gli ospedali da campo e i presidi sanitari, benché si trovassero a 800 metri dalla
barriera. E i giornalisti hanno continuato ad esser presi di mira direttamente mentre 3 dei
manifestanti uccisi sono stati colpiti alla testa e al collo e il quarto alla schiena. Almeno 10 civili
sono in condizioni molto critiche.
Questa era “La giornata dei martiri e dei prigionieri”, ma anche la “giornata delle donne”. Ed in
effetti le donne sono state grandi protagoniste.
Nonostante il portavoce dell’esercito israeliano, Avichay Adraee, avesse ammonito le donne
palestinesi di starsene in cucina, piuttosto che venire a protestare, perché questo era in contrasto
con la loro “femminilità”, e che “La brava donna è la donna onorevole che si prende cura della sua
casa e dei suoi figli”, loro sono arrivate e in massa, come del resto nei precedenti venerdì di
protesta.
Alcune delle donne intervistate da MEE (Middle East Eye) hanno deriso gli ammonimenti israeliani
tacciandoli di misoginia affermando che “Le donne sono il cuore e il centro della resistenza, oltre a
costituire metà della società” e che “È diritto di ogni donna palestinese difendere la propria terra e
nazione“ e “Sostenere il diritto al ritorno”. Il post di Adraee è stato definito un mix di sessimo e
razzismo.
Asaad Abu Shariek, portavoce del movimento di protesta della Grande Marcia del Ritorno, ha
detto che i manifestanti stanno seguendo la via già percorsa del Sud Africa durante la sua lotta
contro l’apartheid.
Ha inoltre aggiunto: “Vogliamo che il mondo imponga un embargo militare su Israele e addotti la
strategia del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni]. Il Sudafrica ha usato questo metodo,
ed è emerso vittorioso, penso che non faremo eccezione”.
Intanto, l’Europarlamento oltre a condannare Hamas, adottando la tesi israeliana, secondo cui è
Hamas che istiga alla violenza, si limita, dimostrando tutta la sua insussistenza, a raccomandare
ad Israele l’uso di «strumenti proporzionati» nel rispondere alla “Marcia del ritorno” dei
Palestinesi e riconosce «le sfide cui Israele deve far fronte in materia di sicurezza e la necessità di
proteggere il suo territorio e i suoi confini».
Solo alla fine chiede la revoca del blocco israeliano della Striscia di Gaza che dura da quasi 11 anni,
e che rappresenta il motivo principale che spinge la popolazione di Gaza a manifestare.

Loretta Mussi, Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese


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