Antonino Caponnetto, di cui ricorre oggi il quindicesimo anniversario della scomparsa, era un uomo, prim’ancora che un magistrato, nei cui occhi si potevano leggere la sofferenza e il dispiacere. Erede di Rocco Chinnici alla guida del Pool antimafia (di cui Chinnici era stato l’ideatore), una vita dedicata alla giustizia in una terra difficile e straziata dal malaffare come la Sicilia, trascorse gli ultimi dieci anni a scrivere e a girare per le scuole, con l’obiettivo di ricordare e far conoscere alle giovani generazioni le figure di due colleghi e amici straordinari come Falcone e Borsellino.
Scritto da Roberto Bertoni
Si pentì pubblicamente di aver detto, in seguito all’attentato di via D’Amelio, che fosse tutto finito ma secondo me, benché sostenesse ovunque che dai giovani, dalla gente comune e dalla società in battaglia che incontrava nel suo peregrinare senza requie in nome della memoria e dell’impegno civile traeva la forza di andare avanti, quell’affermazione, amara e tremenda, rispecchiava il suo effettivo pensiero.
Caponnetto era distrutto: un uomo segnato dall’impossibilità di accettare un simile epilogo, un magistrato che si sentiva sconfitto, abbandonato, preso in giro, ingannato da un sistema che con la mafia aveva preferito, sostanzialmente, conviverci, amareggiato dai drammi che aveva vissuto e devastato da una realtà che non riusciva assolutamente ad accettare, alla quale non voleva e non poteva rassegnarsi.
Ci ha lasciato, come detto, quindici anni fa, all’età di 82 anni, e ciò che più ci manca del suo profilo è la dolcezza, quella mite gentilezza che lo rendeva unico, la sua fermezza tenace, la sua solidità di pensiero e di argomenti, il suo modo di porsi pacato ma mai arrendevole, la sua franchezza di linguaggio e quell’umiltà che spesso ha fatto la differenza nella sua attività investigativa.
Il sangue delle stragi costituisce per tutti noi una ferita mai rimarginata: una rottura democratica e civile che ha costituito uno spartiacque nella storia del nostro Paese. E Caponnetto, uomo costretto a vivere e ad agire spesso in terra di frontiera, è uno dei simboli di ciò che avrebbe potuto essere e invece non è stato, a causa della malafede e dell’ignavia di molti e della mancanza di coraggio di quanti, purtroppo, pur essendo in cuor loro contrari, hanno permesso che si consumasse sotto i loro occhi lo scempio della legalità e della dignità collettiva dell’Italia.
Caponnetto, al contrario, ha lottato sino all’ultimo contro il male atavico dell’indifferenza popolare, contro la prepotenza delle belve mafiose, contro l’arroganza di una politica spesso ostile a persone come lui e contro le piaghe di una terra che amava e reputava disperata al tempo stesso.
Antonino Caponnetto, quindici anni fa, e la terribile sensazione che gran parte delle sue lotte sia stata vanificata dal gattopardismo di una Nazione incapace di scavare a fondo dentro se stessa e di liberarsi dei propri incubi e delle proprie catene.