Def. La Cgil, ecco il quadro reale: “Un sentiero stretto che ripercorre le strade dell’austerità”

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Nessuna discontinuità con le politiche del passato. Il bluff sull’occupazione. Diminuiscono le spese per la sanità. Una giornata nera per l’informazione

Di Alessandro Cardulli

A leggere cronache e commenti, non parliamo dei servizi della televisione pubblica, sulle sedute del Senato e poi della Camera, nel corso delle quali è stato approvato l’aggiornamento al Documento di Economia e Finanza che detta la “linea” del disegno di legge di Bilancio 2018, non si può che rimanere allibiti. Basiti ci piace dire, dà più il senso dello stupore che si prova di fronte ad un fatto, un avvenimento che ti lascia stupefatto. Si trattava di due sedute importanti che avrebbero richiesto tempio e impegno dei parlamentari. Il Def detta la linea della politica economica e sociale a partire dal 2018 fino al 2019 compreso. Il presente e il futuro del nostro Paese che non si annuncia come roseo, malgrado l’ottimismo di cui fanno mostra il presidente del Consiglio, Gentiloni e il ministro dell’economia e finanza, Padoan, secondo cui ormai siamo in piena crescita, non ci ferma più nessuno. Certo, il “sentiero è stretto”, dice il ministro  ma trova il modo di annunciare che nel prossimo anno  verranno creati ancora un milione di nuovi posti di lavoro. Esulta Renzi Matteo perché i due sono stati “costretti”, come si dice tengono famiglia, a sostenere che la ripresa, che in realtà  è solo nei numeri che a getto continuo sforna l’Istat, a far presente che tutto il merito è del segretario del Pd, dei “mille giorni” trascorsi da premier, varando leggi, il jobs act, che hanno dato i frutti sperati smentendo i “gufi”, uccelli che al signorotto di Rignano non piacciono proprio. La realtà è ben diversa: la linea del Def è quella della austerità, il “sentiero stretto” di cui ha parlato Padoan, non c’è alcuna discontinuità con le politiche di questi anni, anzi. Tanto meno una alternativa, come richiesto da Articolo 1-Mdp e, fino ad ieri anche da Campo progressista con in testa Pisapia che non trova di meglio che attaccare D’Alema perché resta convinto che per affrontare la situazione economica e sociale attuale serve proprio una politica di alternativa, che non ripercorre le strade della austerità e per questo non si deve votare l’aggiornamento del Def.

I media hanno dato una visione distorta di quanto approvato dalle Camere

Di tutto quello che è stato discusso e approvato nelle due Camere si dà una visione che non corrisponde alla realtà. Non si spiega, non si fanno i conti, non si racconta la realtà di una manovra che porta i segni della austerità. Anzi questa parola viene nascosta, quasi eliminata dal diario politico. Esemplare, in senso negativo, la Repubblica. Il titolo con cui apre il giornale “L’ultima frattura della sinistra”. Sommario: “Pisapia: un bene per il Paese se D’alema si ritira. La replica: Sei un illuso, non piegherai Renzi”. Poi si indicano alcuni provvedimenti decisi dal governo: abolizione del superticket. Non è vero. Si tratta di un “impegno” a rivedere in un arco di tempo, qualche anno, il problema, poi famiglie, forse si riferisce a quelle povere che rimarranno povere in gran parte, assunzioni, non si capisce  dove, come, quando. Non si dice ma già si può ipotizzare una nuova infornata di precari. Poi  si parla di “assalto alla finanziaria, costa già tre miliardi”. A chi si riferisce questo “assalto”? Certo non ai sindacati i quali pongono alcuni problemi sui quali già ci sono intese, le pensioni, il blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile alle speranza di vita, i contratti dei lavoratori pubblici bloccati da nove anni. Forse il titolo si riferisce a ministri, partiti, quali, lo si dica. Sfogliamo il giornale sperando che nelle pagine seguenti si dia conto dei lavori di Senato e Camera. A pagina due si legge: “Pisapia, colpo a D’Alema: faccia un passo  di lato. E in senato cinque sinistre”. Ci mancava la testimonianza di qualcuno della vecchia guardia della sinistra per parlar male della nuova sinistra quella cui vorrebbero dar vita coloro che hanno lasciato il Pd. Titolo: “Le scissioni non portano a niente, tranne quella del Pci. Dna anarchico e personalismi, spaccarsi è una malattia antica”. A pagina tre parlano D’Alema e Pisapia. Mezza paginata sulla manovra infilata a pagina quattro. Così si informano i cittadini italiani su quanto il governo ha preparato per loro. Un documento, quello presentato da Padoan, votato dal Pd, accompagnato da un sì fragoroso di gruppetti, a partire da quello che fa capo al ministro degli Esteri, Alfano, poi quei parlamentari che si sono organizzati pronti ad offrire i propri voti a chi governa, prima Renzi Matteo, ora Gentiloni. Capofila Denis Verdini, reduce da nuove condanne penali che lo rendono sempre più arzillo, insieme a vecchi amici democristiani come Angelino Sanza, in prima fila, Tabacci, consigliere numero uno di Pisapia.

Ancora una giornata nera vissuta dall’informazione che usa le  “veline” dei poteri

L’informazione, insomma, ha vissuto ancora una giornata nera, una informazione stracciona che usa come fonte quel che passa il convento, le “veline” si diceva una volta che arrivavano dagli uffici stampa, dalle stanze del potere. Oggi si utilizzano i mezzi che la tecnologia mette a disposizione. Non c’è bisogno di leggere  i documenti, il Def, quasi duecento pagine, ma chi te lo fa fare. Vanno bene le sintesi diffuse dai ministeri, i dati dell’Istat.  I commenti? Si costruiscono su misura, fanno testo Gentiloni, i ministri. Quello che dicono  è vangelo. Non è così. La Cgil ha messo a punto una “nota” che riportiamo per intero. Un documento che esamina la nota di aggiornamento del Def e ne offre valutazioni importanti. Lo riportiamo per intero per dare un quadro della situazione, mentre i sindacati annunciano iniziative di mobilitazione nei diversi settori. Di seguito il testo del documento.

Il documento della Cgil, un esame a tutto campo  della Nota di aggiornamento del Def 2017

La Nota di aggiornamento del DEF 2017, aggiornando le previsioni del Governo (elaborate ad aprile) sulla crescita e le altre variabili macroeconomiche per l’anno in corso e il triennio successivo, nonché gli obiettivi programmatici di economia e finanza pubblica, è propedeutica alla formulazione del disegno di Legge di bilancio 2018 (che dovrà essere presentato in Parlamento entro prossimo il 20 ottobre). La Nota di aggiornamento del DEF, quindi, fornisce la cornice economica e finanziaria entro cui realizzare la cosiddetta “manovra” di fine anno, di cui si illustrano i principali ambiti di intervento.

Quadro macroeconomico. Ben tre milioni di persone in cerca di occupazione e altrettanti disoccupati potenziali

Sulla base della crescita del PIL nei primi due trimestri 2017 (di appena 0,4 punti percentuali ciascun trimestre), la vivacità delle esportazioni (più che compensata dall’elevato grado di penetrazione delle importazioni) e un lieve aumento degli investimenti negli ultimi tre mesi (0,7 punti) accelerati dagli “afflussi turistici” (NaDEF 2017, pag. III), dopo una flessione più marcata nel trimestre precedente (-1,6 per cento), il Governo scommette su una crescita del PIL pari all’ 1,5 per cento a fine anno, maggiore di quella già ottimisticamente stimata ad aprile (1,1 per cento). Nel prossimo futuro export e investimenti dovrebbero essere trainati da un contesto internazionale favorevole (le cosiddette variabili esogene: commercio mondiale, cambio euro/dollaro, prezzo del petrolio). Eppure, all’orizzonte sono evidenti i segnali di instabilità globale (tensioni geopolitiche, incertezze nella politica economica USA, Brexit, ecc.). In ogni caso, il tasso di crescita del PIL italiano resta tra i più bassi d’Europa.

Anche la rivendicazione da parte del Governo di aver creato 900 mila occupati va ridimensionata considerando che, secondo i Conti nazionali Istat, dal raffronto fra le unità di lavoro (equivalenti a posti di lavoro a tempo pieno) del secondo trimestre 2017 e dello stesso periodo 2008 ne mancherebbero oltre 1 milione e 200 mila.

Senza considerare, poi, che si contano ancora 3 milioni di persone in cerca di occupazione (a cui si potrebbero aggiungere altrettanti disoccupati “potenziali”), di cui almeno la metà sono sotto i 35 anni. Inoltre, la forte incidenza dei contratti a termine e, in generale, delle forme di impiego non a tempo indeterminato, tra i nuovi occupati dell’ultimo triennio indica un problema anche nella qualità del lavoro creato, soprattutto per le nuove generazioni.

Si prevede un aumento della produttività e una flessione delle retribuzioni

Infine, nel quadro macroeconomico programmatico il tasso di disoccupazione non scende sotto il 10% prima del 2020 (nel 2007 era sotto il 6%) con la conseguente disoccupazione giovanile almeno al 30%.Anche nell’ultima Nota di aggiornamento del DEF si programma un incremento della produttività (mediamente mezzo punto l’anno) maggiore delle retribuzioni, per le quali se ne prevede addirittura una flessione (pari a -0,6 punti da 2017 al 2020) che, per ragioni matematiche, in assenza di importanti incrementi dell’occupazione, comporta anche un’ulteriore compressione della quota del lavoro (mediamente un punto ogni anno nel prossimo triennio). Le conseguenze negative su consumi e investimenti sono intuitive.

Previsioni. Un artificio contabile, quanto meno discutibile

Anche per il biennio 2018-2019, il MEF prevede una crescita di 1,5 punti di PIL ogni anno, dovuta soprattutto all’impatto positivo della rimodulazione delle imposte indirette: per il solo fatto di non aumentare l’IVA, disattivando le cosiddette clausole di salvaguardia si dovrebbe generare una tale fiducia negli operatori economici nei prossimi anni da produrre una crescita aggiuntiva di 0,3 punti ogni anno. Tale artificio contabile risulta quanto meno discutibile. La domanda interna (al netto delle scorte) dovrebbe garantire un contributo alla crescita del PIL 2018 pari a 1,1 punti percentuali. La scommessa del Governo è tutta fondata su una crescita mai vista degli investimenti nel prossimo triennio, soprattutto in macchinari e attrezzature (+11 per cento) e in costruzioni (+5,6 per cento). La previsione appare ancor meno plausibile se si considera che non aumenterà mai l’incidenza sul PIL degli investimenti fissi pubblici (pari al 2,1 per cento dal 2017 al 2019 e al 2,0 per cento al 2020) e che anche l’enfasi sul “Piano nazionale Impresa 4.0” non è supportata dalle stesse stime di impatto del MEF, che contano appena 1,2 punti di PIL in 5 anni (NaDEF 2017, pag. 4).

Le principali  istituzioni internazionali prevedono un rallentamento della crescita del Pil italiano

Coerentemente con la tendenza prevista per l’intera Unione europea, infatti,le principali istituzioni internazionali (a partire da OCSE, FMI e Commissione europea) prevedono un rallentamento del ritmo di crescita del PIL italiano nel 2018 e nel 2019 (in linea con il quadro tendenziale del Governo) e, comunque, una variazione del PIL inferiore a tutte le principali economie avanzate. L’intervallo in cui tali previsioni si concentrerebbe la crescita del PIL è attualmente dello 0,9-1,4 per cento per quest’anno e 0,8-1,3 per cento per il 2018. In aggiunta alle tendenze internazionali, i previsori istituzionali esprimono preoccupazioni riguardo all’impatto sull’Italia della eventuale uscita della BCE da una politica di accentuato accomodamento monetario (QE), oltre che all’incertezza dovuta all’esito delle elezioni politiche, che avranno luogo entro maggio 2018.

Deficit, debito pubblico e manovra. Disattivazione delle clausole di salvaguardia

La previsione di una maggior crescita comporterebbe una livello di indebitamento netto della P.A. pari all’1 per cento del PIL in termini tendenziali. D’accordo con la Commissione europea, il nuovo obiettivo per il 2018 sarà di 1,6 punti di deficit. Siccome nel DEF di aprile 2017 si prevedeva una correzione dei conti che riportasse l’indebitamento dal 2,1 per cento dell’anno in corso all’1,2 per cento, restano circa 0,6 punti di margine per una manovra (circa 10 miliardi di euro).

Anche se la Nota di aggiornamento del DEF definisce solo la cornice entro la quale si realizzerà la Legge di bilancio, si intravedono alcuni elementi della manovra economica-finanziaria, che potrebbe essere computata fino 24 miliardi di euro: disattivazione delle clausole di salvaguardia per 15,7 miliardi di euro (che s aggiungono ai 3,8 miliardi già spesi per sterilizzarne una parte ad aprile con il DL. 50/2017), utilizzando tutti i margini contrattati in Europa sul rapporto deficit/PIL per evitare gli aumenti IVA nel 2018 ; nuovi sgravi contributivi per assunzioni di giovani;sostegno alle famiglie e rafforzamento del contrasto alla povertà; rinnovo contratti del pubblico impiego incentivi fiscali alle imprese e rifinanziamento Industria 4.0.

Sempre in ragione della sovrastima della crescita il debito pubblico in rapporto al PIL dovrebbe continuare a calare, mantenendosi comunque sopra il tetto del 130%. Anche il MEF sottolinea come il rapporto debito/PIL fosse sotto il 100% nel 2007 e prevede di arrivare attorno al 123% nel 2020. Appare ormai evidente che la regola aurea del Fiscal compact non funziona. Tuttavia, non è presente alcun cenno alla possibilità di schierare il Governo per non ratificarlo nei Trattati alla sua scadenza naturale, a fine 2017.

Anzi, la politica del Governo resta sempre quella di un graduale consolidamento dei conti pubblici a scapito di una linea espansiva. Pur rinviando ogni anno il pareggio di bilancio, il “sentiero stretto” evocato dallo stesso Ministro dell’Economia è sempre quello dell’austerità, generando avanzi primari sempre più ampi (dall’1,7 del 2017 al 3,5 per cento del 2020), ossia nuovi tagli della spesa e nuovi aumenti delle entrate, tali da deprimere la domanda aggregata e, perciò, la crescita potenziale.

Coperture, tagli strutturali e misure sul versante delle entrate

Per quanto riguarda le coperture della manovra 2018-2020 il Governo dichiara che consisteranno in “un terzo di tagli strutturali alla spesa pubblica e due terzi di misure sul versante delle entrate” (NaDEF 2017, pag. 36).

Le misure di riduzione strutturale della spesa corrente, legate principalmente all’integrazione nel ciclo di programmazione economico-finanziaria del processo di revisione della spesa delle Amministrazioni centrali dello Stato: i) la revisione di procedure amministrative o organizzative per il miglioramento dell’efficienza; ii) il de-finanziamento di interventi già previsti; iii) la revisione dei meccanismi o parametri che regolano l’evoluzione della spesa, determinati sia da leggi sia da altri atti normativi, ovvero la soppressione di disposizioni normative di spesa vigenti in relazione alla loro efficacia o priorità (NaDEF 2017, pag 61).

La spesa sanitaria prevista in percentuale sul PIL scende ancora, scende al 6,3 per cento nel 2020: viene aggravata così la previsione del DEF di aprile 2017 che indicava una già allarmante riduzione della spesa sanitaria in percentuale del PIL. Si conferma, perciò, un de-finanziamento per la sanità pubblica, anziché un investimento per garantire il diritto alla salute e alle cure (cui stanno rinunciando milioni di cittadini), ostacolando peraltro l’attuazione degli stessi nuovi LEA.

L’aumento complessivo delle entrate nel 2018 dovrebbe essere di 26,6 miliardi di euro. Tuttavia, 21 miliardi di aumento delle imposte indirette comprendono anche i 15,7 delle clausole e i 3,8 dei provvedimenti del DL. 50/2017 che in gran parte hanno prodotto maggiori entrate IVA: l’aumento di gettito delle indirette, quindi, dovrebbe essere pari a 2 miliardi circa.Resta da capire quale effetto di maggiori entrate produrranno i provvedimenti anti-evasione enunciati dal Governo, ovvero l’ulteriore stretta sulle compensazioni, incentivi al pagamento elettronico e alla fattura elettronica fra privati, una estensione ulteriore dello split payment. Ogni tracciabilità dei pagamenti introdotta è sempre un passo avanti nella lotta all’evasione e nell’aumento della “adesione spontanea” (cosiddetta tax compliance), salvo la necessità di utilizzare prontamente questa mole di dati: in tal senso, le recenti notizie sulla scarso utilizzo dei riscontri della Anagrafe dei conti correnti non sono rassicuranti.

Sulle imposte dirette a fine 2017 si registrerebbe un picco, cui seguirebbe un calo nel 2018, che sembra spiegarsi esclusivamente con la contabilizzazione di una parte della voluntary disclosure e le prime rate della “rottamazione” delle cartelle esattoriali che si ventila di voler riaprire anche nel 2018, in spregio ad ogni logica. Ripetere annualmente un condono significa oltrepassare quel limite non scritto che li vuole una tantum e tombali almeno nella forma e nelle intenzioni. Va specificato poi che ai fini delle entrate gli effetti della rottamazione 2017 si dispiegano anche nel 2018 e, dunque, una nuova apertura dei termini credibilmente non potrà avere effetti simili (chi ha già chiesto il condono non ha motivo di richiederlo).

Le tasse al lavoro vanno ridotte per lavoratori e pensionati con redditi bassi

Il fondo di extra-gettito da recupero dell’evasione che dovrebbe ridurre le tasse al lavoro, però, ammonterebbe solo a 370 milioni di euro. Una cifra esigua, che tuttavia è necessario pretendere che sia destinata alla riduzione dell’imposizione di lavoratori e pensionati con redditi medi e bassi.

Dal lato delle entrate vanno anche considerate le privatizzazioni, che cumulano oltre 1 punto di PIL nel periodo 2017-2020, a scapito di investimenti pubblici e politica industriale.

Da jobsnews


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