Il Generale Dalla Chiesa. “Un simbolo” lo ricordava Leonardo Sciascia

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Un giornalista siciliano che si chiama Nino Sunseri pubblicò il 5 settembre 1982 un’intervista fatta a Leonardo Sciascia, autore – a mio avviso- dei romanzi e racconti di mafia più importanti tra quelli pubblicati in Italia dopo il 1945, sul delitto in cui Cosa Nostra uccise il generale-prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa e ne parlo ora, a distanza di 35 anni di distanza dai fatti, perché quello che disse lo scrittore siciliano, fa capire al lettore di oggi meglio che qualsiasi altro scritto le ragioni e gli aspetti profondo di quell’oscuro delitto.” “Carlo Alberto Dalla Chiesa lo abbiamo ucciso tutti quanti noi-avrebbe detto Totò Riina subito dopo l’assassinio – perché era l’unico che poteva combattere il terrorismo e la mafia. Ne abbiamo fatto un bersaglio cui qualcuno ha poi sparato.”

Un modo per allontanare da sé la colpa di sicuro ma anche un’interpretazione dei fatti che rispondeva a qualcosa che era realmente accaduto quando il protagonista della battaglia vinta contro i terrorismi era stato inviato dal governo a Palermo per battere le associazioni mafiose.

E poi Sciascia continua: “Questo assassinio ha un solo significato ed  è l’eliminazione di una singola persona che era diventata un simbolo. Le istituzioni sono tarlate, non funzionano più, si reggono solo sull’eliminazione di pochi uomini coraggiosi. A partire dall’assassinio di Boris Giuliano, la mafia ha deciso di eliminare questi uomini simbolo. Arrivati a Dalla Chiesa, però,  mi domando se non ci sia della follia in chi ordina questi delitti: che cosa vogliono? Quale è il  loro obbiettivo? Pretendono forse i l governo dello Stato? In verità non riesco a capire. Vogliono forse imporre un ordine mafioso che si sovrapponga a quello dello Stato? Ma questo è impossibile perché il livello del delitto è talmente alto da suscitare una fortissima reazione?

“Io credo – continua Sciascia – che nessuna organizzazione eversiva possa gareggiare con lo Stato in fatto di violenza anche quando lo Stato appare inefficiente. Anzi la sua inefficienza è direttamente proporzionale alla mancanza di funzionalità in queste condizioni sfidarlo mi sembra un atto di napoleonismo folle. Ma tutto ciò mi preoccupa perché uno Stato inesistente è sempre capace di approvare una legge sui pentiti e di scatenare una furibonda repressione poliziesca. “Per capire la mafia – dice ancora lo scrittore siciliano – bisogna rifarsi alla tesi classica che voleva la mafia inserita nel vuoto dello Stato. Ma in realtà essa vive nel pieno dello Stato. Credo che dall’istituzione della commissione antimafia in poi, l’organizzazione abbia cominciato a sentirsi esclusa dal pieno dello Stato ed ora ha assunto questa forma che può definirsi eversiva. Ma in effetti appare come un animale ferito che dà colpi di coda. Dalla Chiesa forse non aveva intuito tale trasformazione e i pericoli che ne derivavano. Anch’io peraltro non credevo che si arrivasse a colpire tanto in altro. Ma forse Dalla Chiesa non aveva capito il fenomeno. Ma di fatto nessuno lo aveva presentito.”


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