Gabriele del Grande, arrestato delle forze turche lungo il confine siriano, non è “solo” uno scrittore e documentarista famoso e impegnato per i diritti dei profughi e dei cittadini delle zone cancellate del globo. Gabriele è da oltre un decennio un punto di riferimento per chiunque abbia seguito e voglia continuare a seguire le sorti delle migliaia di disperati che cercano rifugio in Europa, sapendo fin dalla partenza nei loro paesi di correre un alto rischio di morire nel percorso. il suo sito Fortress Europe non faceva semplicemente la conta di arrivi e dispersi (per non dire morti) nel Mediterraneo. Col tempo era diventato anche l’approdo delle richieste di aiuto che, attraverso contatti con amici o aprenti, riuscivano ad arrivare a lui e da lui, quando possibile, alle capitanerie di porto più vicine e ai giornalisti più attenti. A Rainews24 lo abbiamo sentito tante volte ricostruire tragedie molto prima della strage a largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013. E i suoi libri, da Mamadou va a morire a Il Mare di mezzo e i suoi documentari (solo ultimo Io sto con la sposa) ci hanno consentito di sapere di più di quel grande cimitero di fuggitivi che è il mare lungo le nostre coste e chi sono e come vivono quei disperati che ci affanniamo a respingere.
Per questo è importante chiedere la sua immediata liberazione: sappiamo che le autorità turche non consentiranno a Gabriele di proseguire nel suo viaggio che era un viaggio di conoscenza, di illuminazione su quanto sta accadendo lungo quel confine da dove i profughi in fuga da massacri quotidiani non passano praticamente più. Confidiamo che il nostro governo si sia già attivato chiedendo al governo di Ankara garanzie precise sulla sua protezione.
Ma non basta. Quello che è successo a Gabriele da molto, troppo tempo, succede in Turchia, possiamo dire quotidianamente, a giornaliste e giornalisti, blogger, professori, impiegati pubblici, magistrati e avvocati, semplici cittadini che hanno l’unica colpa di pensarla diversamente dal governo in carica e di essere un potenziale megafono per raccontare una realtà di repressione e soppressione dello stato di diritto su cui l’Europa ha chiuso entrambi gli occhi e si è tappata le orecchie.
La Turchia non è lontana e il fastidio per la libertà di stampa, la libertà e il diritto di essere informati sta prendendo piede, nel resto d’Europa come da noi. Le voci critiche vengono additate come disturbatori, i cronisti minacciati e querelati, i servizi pubblici (anche il nostro) sono sempre più controllati dai governi e, quando si azzardano a raccontare vicende non opportune, soprattutto se coinvolgono politici o grandi aziende, vengono richiamati all’ordine, come sta accadendo in queste ore al programma d’inchiesta di Rai3 Report. Anche negli Stati Uniti dove il presidente Trump si permette di escludere le testate non applaudenti dalle proprie conferenze stampa.
Eppure proprio gli Stati Uniti ieri ci hanno dato una dimostrazione che le inchieste scomode premiano e vanno premiate, riconoscendo il premio Pulitzer al Consorzio internazionale di giornalismo investigativo per l’inchiesta sui Panama Papers.
Per riappropriarci, come cittadine e cittadini e non solo da giornalisti, del diritto a essere informati prima che a informare, in Turchia come in Italia, martedì 2 maggio, alla vigilia della Giornata internazionale per la libertà di stampa, con Fnsi, UsigRai, NoBavaglio e tante altre realtà, saremo insieme in piazza a Roma, e speriamo non solo a Roma: leggeremo i nomi degli oltre 165 tra croniste e cronisti turchi in prigione, invitando i parlamentari italiani ed europei a prendere posizione, sulla Turchia ma anche sui fatti di casa nostra: riaffermiamo insieme l’Articolo 21 della nostra Carta, difendendo il diritto di cronaca.
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