Idlib, storia di una carneficina annunciata da mesi

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Si coglie un’incomprensibile sorpresa per il massacro con uso di armi chimiche in Siria. Eppure le Nazioni Unite hanno ricevuto denuncia dei seguenti “incidenti” chimici: Salquin -17 Ottobre 2012; Homs -23 Dicembre 2012; Darayya -13 Marzo 2013; Otaybah -19 Marzo 2013; Khan el-Asal-19 Marzo 2013; Adra -24 Marzo 2013; Darayya -25 Aprile 2013; Saraqueb -29 Aprile 2013; Sheik Maqsood -13 Aprile 2013; Jobar -12-14 Aprile 2013; Qasr Abu Samrah -14 Maggio 2013; Adra -23 Maggio 2013; Ghouta, 21 Agosto 2013; Bahhariyeh- 22 Agosto 2013; Jobar – 24 Agosto 2013; Ashrafiah Sahnaya- 25 Agosto 2013. Le responsabilità accertate dicono che due “incidenti” sono stati provocati dall’esercito siriano, uno dall’Isis[1]. Secondo un rapporto del network siriano per i diritti umani, sarebbero invece 139 gli attacchi chimici compiuti, prima della conquista di Aleppo, dal giorno dell’attacco alla capitale nella Ghouta orientale: 136 sarebbero stati compiuti dal governo di Damasco e 3 dall’ISIS.

La sorpresa di queste ore è dunque la vera sorpresa. E anche per quanto riguarda il luogo dove le forze armate di Bashar al Assad hanno voluto perpetrare questo ennesimo crimine è difficile capire come sorprendersi. Era il 27 dicembre dello scorso anno quando Thierry Messiyan, felicissimo per la liberazione di Aleppo, dal suo ufficio che si preume sia nella Beirut-sud controllata da Hezbollah scriveva sul sito dell’ideologia “rossobruna”, Voltairent: La liberazione della Siria dovrebbe continuare a Idlib. Questo governatorato è ora occupato da una serie di gruppi jihadisti, senza comando comune. […]Per sconfiggerli  occorrerebbe dapprima tagliare le vie di rifornimento.” Missione compiuta, si potrebbe dire. Più difficile è capire come sia potuta passare tanto a lungo sotto silenzio la scelta di mandare proprio ad Idlib la popolazione, o ampia parte di esse, deportata da Aleppo. Chi non è stato internato o ucciso dopo l’operazione di Aleppo è infatti stato “accompagnato” –si direbbe con il consenso internazionale, proprio nella Idlib che Messiyan indicava come il next-target.

Messyian è l’ideologo di quella enorme rete transculturale che è arrivato a scrivere: “Dopo il ritiro di Fidel Castro, la morte di Hugo Chávez e il divieto imposto a Mahmoud Ahmadinejad di presentare un candidato alle elezioni presidenziali iraniane, il movimento rivoluzionario non ha più un leader mondiale. O meglio, non ne aveva più. Tuttavia, l’incredibile tenacia e sangue freddo di Bashar al-Assad ha fatto di lui il solo capo di un Esecutivo al mondo che sia sopravvissuto a un attacco concertato di una vasta coalizione coloniale guidata da Washington, e che sia stato largamente rieletto dal suo popolo.”

Esiste dunque un rossobrunismo laico-religioso che vede in Aleppo e in Idlib un passo avanti verso la liberazione degli oppressi. Come spiegarselo? Come riuscire in queste ore drammatiche a venire a capo di una simile matassa ideologica? Basta dire che l’ISIS ci ha chiuso gli occhi? No.

C’è e ci riguarda l’uso sapiente di molte perversioni ideologiche per creare una mega-perversione trasversale si somma alla “teologia della geopolitica sovietica” che in molti casi spinge ancora molti di sinistra a ritenere che Mosca e i suoi alleati “laici” panarabisti abbiano sempre ragione, anche se l’unione sovietica non c’è più.

Ma è il genocidio armeno che ci aiuta a capire questo secolo tremendo, cominciato nel 1915 con il genocidio degli armeni e giusto oggi, nel 1917, a potersi far definire “il secolo lungo dei genocidi”. Innanzitutto si tratta di genocidi? Erano programmati, pianificati? Ma per quale motivo i Giovani Turchi decisero di eliminare tutti gli armeni dallo spazio anatolico? Lo storico Charles King ha risposto così: “I  funzionari del governo ottomano erano determinati a smascherare qualsiasi quinta colonna (o presunta tale) che vedesse con favore gli obiettivi territoriali degli Alleati. Nell’Anatolia orientale unità dell’esercito e milizie irregolari organizzarono la deportazione di interi villaggi armeni e di altri cristiani ritenuti potenzialmente fedeli alla Russia.”  Da allora i regimi hanno fatto della repressione un’ideologia  “totale”,  tacciando ogni dissidente di essere “una quinta colonna” dei nemici della nazione; in questo il genocidio degli armeni, per difendersi da “quinte colonne” delle mire espansioniste russe, ha aperto un’éra.

Le quinte colonne si sono viste ovunque: tra i palestinesi dei campi profughi  in Libano, trucidati all’inizio della guerra civile libanese dai siriani a Tell al Zataar (1976):  in Siria le quinte colonne sono state viste annidarsi tra i fratelli musulmani arroccati ad Hama (1982); il regime, minando l’intero centro cittadino, lo fece crollare  su un numero imprecisato di sepolti vivi, forse 10mila, forse 50mila, forse ancora di più. In Iraq le quinte colonne sono state viste tra i curdi, sterminati da Saddam Hussein con i gas  ad Halabja (1988), durante il conflitto con l’Iran.Quello dei sunniti siriani è l’ultimo devastante “genocidio difensivo”. Davanti al timore iraniano-siriano (sciita) di un’avanzata saudita (sunnita) nel Levante, isolando l’Iran nel suo spazio centroasiatico,  il regime filo-iraniano di Assad con il sostegno dei gruppi khomeinisti ha preso la decisione: “uccidiamo tutte le loro possibili quinte colonne”, cioè i sunniti. Proprio come avevano fatto i militari turchi con gli armeni.


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