Turchia, arrestati vertici società editrice quotidiano Hurriyet mentre scattano prime condanne post golpe fallito

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Chiusura di scuole e università, di giornali e altri media, licenziamenti e arresti di massa che, mentre viene emessa la sentenza del primo processo contro alcuni presunti golpisti, appaiono ancora più inquietanti.
Il bilancio dei primi sei mesi di repressioni e purghe nei confronti di chi è stato ritenuto responsabile o anche solo sospettato di aver sostenuto il fallito golpe del 15 luglio del 2016 in Turchia è impressionante.
E non è ancora finita. Recep Tayyip Erdogan sembra non voler porre fine alla sua caccia alle streghe, una maxi indagine che non perdona nessuno.

Venerdì 7 gennaio il tribunale di Erzurum ha condannando all’ergastolo due ex militari, il colonnello Murat Kocak e il maggiore Murat Yilmaz, riconoscendoli colpevoli di aver tentato di rovesciare l’ordine costituzionale. Gli imputati si erano dichiarati innocenti ma nonostante le prove prodotte dall’accusa non risultassero schiaccianti la mannaia della giustizia turca si è abbattuta su di loro senza ombra di clemenza.
Nelle prossime settimane è previsto l’inizio di altri processi, alcuni dei quali contro giornalisti e intellettuali.
Ma intanto l’ondata di provvedimenti punitivi continua. L’ultima è partita dal ministero della pubblica istruzione che ha sospeso 631 professori universitri in tutto il Paese ritenuti ‘vicini’ a Fetullah Gulen, imam ed ex consigliere di Erdogan in esilio negli Stati Uniti dal 1999 e ritenuto ideatore del colpo di stato sventato dall’esercito turco e dalla popolazione scesa in piazza.
Ulteriori nuove ‘purghe’, nelle ultime settimane, sono state inflitte ad altri 8 mila funzionari, destituiti dai loro incarichi come altre decine di migliaia di colleghi. Nel mirino delle autorità turche anche centinaia di enti culturali e associazioni dichiarati illegali in seguito all’emanazione di alcuni decreti legge approvati lo scorso dicembre dal Parlamento.
Tra coloro che sono stati licenziati, 8 membri del Consiglio di stato, 2.687 sono poliziotti, 1.699 funzionari del ministero della giustizia, 838 del ministero della Sanità e centinaia di altri impiegati ministeriali.

Dal fallito colpo di stato in Turchia 41 mila persone sono state arrestate e oltre 100 mila cacciate o sospese dagli incarichi fino a quel momento ricoperti. Tra gli ultimi a finire in carcere l’ex direttore e il capo dell’ufficio legale della Dogan Holding, una società con investimenti nell’editoria, nel turismo e nel commercio,
Yahya Uzdiyen e Erem Turgut Yucel sono stati arrestati dopo le perquisizioni nei loro uffici e abitazioni. Secondo notizie riportate dalle agenzie di stampa interne e internazionali il fermo giudiziario di Uzdiyen e Yucel è collegato al l’indagine che aveva già portato all’arresto del rappresentante amministrativo ad Ankara della holding, Barbaros Muratoglu, accusato il mese scorso di aver aiutato il gruppo terroristico armato FETO.
La compagnia finita sotto inchiesta è proprietaria del quotidiano Hurriyet, dell’agenzia Dogan e della tv Cnn Turk. Il repulisti del presidente turco colpisce così, ancora una volta, i media. Ad oggi le autorità giudiziarie hanno emesso 130 mandati di cattura nei confronti di altrettanti giornalisti, tra cui un numero cospicuo di dipendenti della televisione turca.
Tra i colleghi finiti in carcere, decine di cronisti della carta stampata o di siti di informazione online ma anche blogger. Tra tutti spicca il nome di Nazli Ilicak, 72 anni, una delle firme più autorevoli del Paese e nota commentatrice televisiva.
Una vera e propria repressione della libertà di espressione e di informazione quella messa in atto dal regime di Erdogan che non recede da un proposito altrettanto repressivo dei dettami costituzionali.
Da oggi il testo della riforma della Costituzione che rafforza il presidenzialismo sarà al vaglio del Parlamento. La proposta legislativa, che attribuisce alla figura presidenziale dei super poteri, sara prima discussa nell’ambito della commissione parlamentare per gli affari costituzionali per poi approdare in aula dove il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) tenterà di ottenere i 330 voti necessari per l’indizione del referendum che di fatto prevede l’abolizione del sistema parlamentare.
Il regime turco ha dunque deciso di gettare la maschera di finta democrazia che ha ipocritamente indossato in questi ultimi anni.


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