Processo Ferulli. Cinque anni di attesa e le risposte che mi aspettavo e pretendevo non sono arrivate

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Oggi i miei Avvocati hanno depositato il ricorso contro la sentenza di assoluzione di quattro poliziotti che, la sera del 30 giugno 2011, fermarono mio padre a pochi passi dalla sua abitazione per l’ultimo controllo dei documenti della sua vita. Quello che più fa male, dopo tutti questi anni, è che ancora oggi si vorrebbe far passare mio padre per un delinquente, forse pensando che ciò possa essere una giustificazione a quanto gli è successo.

Il processo di primo grado è durato ben due anni, eppure sono bastate meno di due ore di camera di consiglio, mentre alcuni giudici popolari passeggiavano per i corridoi del Tribunale invece che prendere parte alla decisione finale, per assolvere quei quattro agenti. Le motivazioni della sentenza di secondo grado liquidano la morte di mio padre in trenta pagine, le quali sembrano una somma della strategia difensiva degli imputati e un copia e incolla della sentenza precedente.
Quando i giudici scrivono che “non si e trattato quindi (come pure sarebbe stato possibile) della situazione sfuggita di mano a poliziotti giovani e inesperti, ma violenti, bensì di una tragica fatalità, dettata dalla condizione di stress in cui il soggetto arrestato è venuto a trovarsi”, mi chiedo come sia possibile parlare di fatalità quando un uomo, che invocava aiuto, è stato tenuto faccia a terra, ammanettato, ripetutamente colpito ed è infine morto. A me sembra che questo sia un insulto alla Giustizia, e ritengo estremamente offensivo il fatto che, in tutte le due sentenze, venga dato a me della bugiarda, mentre davvero poco si è fatto per arrivare alla verità. Mio padre aveva in tasca il suo documento e quello dei due amici che erano con lui, e in aula abbiamo sempre sostenuto che si trovassero lì perché erano stati prontamente consegnati agli agenti durante il controllo, circostanza che avrebbe dovuto immediatamente interrompere ogni altra azione repressiva nei suoi confronti. Numerose dichiarazioni a supporto di questa tesi non sono state prese in considerazione mentre rimane scritto, nero su bianco, che su questo punto ci sono “pesanti ombre” sul mio comportamento.
Ma se allora ho mentito, ho contraffatto prove e agito in modo così grave, perché nessuno ha inviato gli atti in Procura per chiedere l’apertura di un fascicolo a mio nome per falsa testimonianza?
Sono sempre stata rispettosa del lavoro che viene svolto nelle aule di Tribunale, e continuerò a esserlo, ma in questi cinque anni mi aspettavo, pretendevo, delle risposte che non sono arrivate.

Apprendo con grande soddisfazione che la Procura Generale di Milano ha depositato un lungo e dettagliato ricorso per chiedere alla Corte di Cassazione di rifare il processo, un processo questa volta giusto, dove vengano finalmente accertati i fatti che quella notte hanno portato mio padre, Michele Ferrulli, a morire per terra in mezzo alla strada.
Sono tante le risposte che a oggi ancora non abbiamo, e ringrazio la Procura di Milano e la Procura Generale per aver voluto ricercare la verità sulla morte di mio padre, per non aver avuto pregiudizi, per non averci lasciato soli. Anche in un processo difficile, come sempre lo sono i processi che indagano sulle forze dell’ordine.

Sono pienamente consapevole, ora più che mai, che sarà difficile arrivare alla verità e avere almeno un po’ di giustizia. Sono indignata, scoraggiata, delusa, costernata, provata. Ma non demotivata, quello mai. Non mi fermerò, fino a che la verità non verrà riconosciuta e perché a mio padre venga restituita la dignità che merita.


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