Zaza Kurd: una storia necessaria al Festival di Venezia

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Grazie al film ‘Zaza Kurd’ di Simone Amendola* arriva alla 73’ mostra internazionale del Cinema di Venezia il racconto intimo di una significativa vittoria personale, quella di Hamza che vive in Italia come rifugiato dal 1999. Da quando, cioè, a 19 anni, è dovuto scappare dalla Turchia per salvarsi da un processo politico sommario che lo condannava, da innocente, a 12 anni di carcere. Nel 2015, dopo 16 anni di resistenza fisica ed emotiva, quando ormai aveva perso le speranze di poter rimettere piede nel suo paese, il partito curdo vince le elezioni e comincia a scardinare molte leggi incostituzionali. Hamza, con le lacrime agli occhi, il 13 dicembre 2015 sale sull’aereo che lo riporterà a casa. Ad attenderlo trepidanti a Bingol, Anatolia, i suoi familiari e tanti amici che non lo vedevano dal giorno della sua fuga e che temevano di non riabbracciarlo mai più. Tutti armati di smartphone documentano ogni istante di quegli abbracci insperati. Il film, prodotto da Blue Desk grazie alla vittoria del Bando MigrArti del MiBact, è un documentario breve che attraverso l’uso di vari linguaggi da voce alle ferite mai davvero rimarginabili del protagonista. Abbiamo intervistato Simone Amendola, all’indomani dell’anteprima del 5 settembre e  alla vigilia della seconda proiezione in programma oggi alle ore 9.00 alla Sala Casinò.

Partiamo dal titolo. Cosa significa?
Il titolo è un piccolo gioco di parole. Con l’appellativo ZAZA KURDS vengono chiamati gli Zaza, la popolazione dell’Anatolia di cui Hamza, il protagonista, fa parte. Hamza quando è venuto a Roma ha trovato difficoltà a farsi chiamare col suo vero nome (che veniva puntualmente storpiato) e ha deciso di farsi chiamare Zaza, un appellativo che richiama una sua appartenenza profonda. Quindi per tutti lui è Zaza. E per questo ‘Zaza, Kurd’.

Come avviene l’incontro con Hamza?
Con Hamza ci siamo conosciuti nel 2009, siamo diventati amici e poco dopo l’abbiamo coinvolto in un mediometraggio che si chiama Centocelle Stories, un piccolo film che ruotava attorno a storie del quartiere in cui lui interpreta se stesso.

Una storia che ne racconta tante altre hai scritto in un post sul tuo profilo facebook. Cioè?
In primis direi c’è la situazione di tutti i curdi, un popolo a cui è negata una lingua ed un paese. Poi c’è la vita di tutti quelli che come Hamza sono dovuti scappare dal proprio paese perché vessati politicamente, e poi ci sono tutti i migranti che non possono più tornare a casa… In ultimo, ma non come ultima cosa, ci sono i sentimenti di base di ogni uomo che non è libero.

Che pubblico vorresti seduto a guardare questo film?
Chiunque. Il documentario in fondo racconta una storia molto umana, di emozioni semplici e profonde.

Anche tu hai affrontato il tema complesso della migrazione. Come ti sei preparato?
A me interessa molto l’argomento. Più umanamente che politicamente. Sento, ma non saprei direi bene il perché, che nello sradicamento c’è il succo della vita umana. Anche nel bene direi. Emergono delle umanità a volte, si tirano fuori cose che tutti noi, nella norma, teniamo assopite. In passato ho raccontato gli adolescenti figli di migranti, ho raccontato in un testo teatrale di un italiano che emigra in Germania. Le separazioni sono la cosa più dolorosa della vita, ma sono anche spesso l’unico modo per aprire gli occhi. Hamza, ad esempio, è una persona dalle mille risorse, molto aperta.

Come sarà la distribuzione del film? Dove e quando potremo vederlo?
Al momento siamo in una fase di programmazione e come Blue Desk cercheremo anche strade nuove per farlo veicolare.

Hamza ha visto il film? Che cosa ha detto?
Hamza si è emozionato di nuovo in quello strano gioco di specchi che è il vedersi raccontare la propria storia. Dopo la proiezione ha ironizzato dicendo che è il secondo ‘Zaza’, dopo Yilmaz Guney, a partecipare ad un festival così importante (Guney vinse la Palma d’oro a Cannes nel 1982….)

Con quale spirito stai vivendo Venezia?
Con gioia e giusta premura, dopo una fine luglio ed un agosto incandescenti. Abbiamo saputo della presentazione al Festival mentre ancora stavamo finendo di montare. Questo ha accelerato le cose e reso tutto esasperante. Tra l’altro quello che si vedrà al festival è una versione più corta, più avanti, si vedrà la versione più lunga, alla quale stiamo ancora lavorando, nella quale c’è maggior spazio per il nostro rapporto con Hamza. La versione del Festival è molto incentrata sulla sua storia, sul suo toccante ritorno a casa, improvviso e insperato. Comunque per chiudere direi che è un sogno per chiunque proiettare il proprio lavoro a Venezia. Per me è la prima volta alla Biennale Cinema, nel 2011 ho portato un’opera video realizzata con un artista iracheno ma alla Biennale Arte. Sono contento di esserci con una storia necessaria.

*Simone Amendola ha ricevuto diversi riconoscimenti per i suoi lavori, tra cui Premio ilaria Alpi per il documentario narrativo, Premio Solinas per la sceneggiatura, Premio In-Box per la drammaturgia contemporanea. Tra i suoi lavori più conosciuti il doc ‘Alisya nel Paese delle meraviglie’ e lo spettacolo ‘L’uomo nel Diluvio’ che raccontano entrambi, da oppooste angolazioni, di migrazioni


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