Addio ragazzo di Livorno

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Carlo Azeglio Ciampi non è stato solo un grande presidente della Repubblica: è stato molto di più. Carlo Azeglio Ciampi ha rappresentato un’altra idea di politica e d’Italia, trovandosi sul Colle più alto di Roma in uno dei periodi più drammatici della nostra storia.
Ricordiamoli bene quegli anni: siamo nati allora. Erano gli anni delle leggi ”ad personam” e delle leggi vergogna; gli anni degli editti e delle censure; gli anni in cui nacque e si diffuse una cultura razzista, basata sulla discriminazione e l’emarginazione dei più deboli, in particolare degli immigrati, dei rom, dei “diversi”, considerati tali dai fautori, spesso anche di “alto rango”, di pregiudizi cattivi ed escludenti. Un’incultura e una mancanza di rispetto che hanno portato il nostro Paese indietro di oltre mezzo secolo, vanificando quasi tutte le straordinarie conquiste del dopoguerra, a cominciare dalla Costituzione, oggetto in quel periodo di un attacco brutale, fortunatamente sventato dalla scelta di milioni di italiani di opporsi nelle urne a uno stravolgimento dei principi basilari della Carta che oggi, purtroppo, è tornato di moda anche a sinistra.
Fu in quegli anni che iniziò l’avventura di Articolo 21 ed è doveroso ricordare che trovammo sempre in Ciampi un baluardo della democrazia e delle istituzioni, coraggioso nel rimandare alle Camere norme che si fa persino fatica a commentare e orgoglioso nel difendere e custodire quello spirito azionista che fu protagonista di alcune delle pagine più gloriose della nostra storia.
Dopo Pertini, noto a tutti come il “presidente partigiano”, Ciampi fu il “presidente azionista”, l’uomo che restituì smalto e prestigio alle festività nazionali e innalzò il Tricolore di fronte agli assalti di chi diceva di volerlo utilizzare e come carta igienica. Ma fu anche un punto di riferimento per milioni di giovani e per le periferie dimenticate, per i poveri e per gli esclusi, per le associazioni che si battono in difesa di tutti i diritti e per chi ancora si ostina a credere nelle virtù repubblicane che troppi definiscono oramai obsolete, spesso senza nemmeno conoscerle.
Poi, terminato il mandato presidenziale, respinse con garbo e fermezza ogni ipotesi di rielezione e proseguì l’attività istituzionale con passione ed impegno, senza mai risparmiarsi, senza mai arrendersi, senza mai far mancare la sua voce nel dibattito pubblico e nella calorosa difesa degli ideali che avevano scandito la sua giovinezza ed erano stati il faro della sua vita.
Personalmente, mi piace ricordarlo per una frase in cui esortava i giovani a non perdere mai la speranza, raccontando un episodio dei vent’anni quando, tornando a Livorno nel ’44, dopo quattro anni di guerra, trovò una città in cui mancavano acqua, luce e gas ma la gente aveva comunque il cuore pieno di entusiasmo e di voglia di ricominciare.
La pronunciò durante un’intervista televisiva di Serena Dandini, presentando un saggio dedicato ai centocinquant’anni dell’Unità d’Italia dal titolo amaro ma significativo: “Non è il Paese che sognavo”.
No Presidente, purtroppo non lo è. Di sicuro, non lo è in questa fase di caos e disorientamento collettivo, nella quale la semplice difesa dei valori costitutivi del nostro stare insieme viene scambiata per disfattismo e volontà di frenare il processo riformista.
Non è il Paese sognato dai ragazzi di allora, che oggi ricordano l’esperienza partigiana nella speranza di trasmetterla alle nuove generazioni, e non è il Paese che sogniamo noi, “partigiani del Terzo millennio”, che abbiamo deciso di raccoglierne il testimone e di fare nostre quelle istanze di giustizia ed uguaglianza.
E non è nemmeno “l’Italia più giusta e più buona” di cui parlava Enzo Biagi (riprendendo il poeta Giosuè Borsi, caduto durante il primo conflitto mondiale) in un editoriale che scrisse nel dicembre del ’44 per “Patrioti”, il giornale della brigata Giustizia e libertà – Divisione Bologna.
Per questo, ora più che mai, avvertiamo fortissimo il dolore per la scomparsa di quel ragazzo di Livorno, il quale lascia un vuoto incolmabile in una stagione pervasa da un sentimento di sconfitta e rassegnazione generale che sta avvelenando e distruggendo la nostra società.


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