Il dono degli organi di Emmanuel e la lezione di dignità di Chinyerey

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Chinyery era stremata, distrutta, inconsolabile. Eppure nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Fermo ha avuto la forza di compiere una scelta di speranza, un gesto di pace che rappresenta un messaggio di solidarietà che si contrappone con la potenza dell’amore a un crimine dell’odio generato dalle palizzate, sempre più alte, della xenofobia nel nostro Paese.
Quando i macchinari hanno confermato ciò che era ormai chiaro a tutti, che Emmanuel non ce l’avrebbe fatta, i dottori hanno proposto alla giovane la donazione degli organi di suo marito. In quel momento, nonostante stesse perdendo il suo compagno, massacrato a sprangate con colpi sul corpo e alla testa, non è prevalsa in lei la rabbia, il rancore, ma la dignità. Chinyery sapeva che con quella decisione avrebbe dato una possibilità di vivere ad altre persone, degli italiani. E non ha pensato per un solo istante di rifiutare perché proprio un ‘italiano’ le aveva tolto l’amore della sua vita, colui con il quale aveva condiviso la fuga dagli orrori della Nigeria dopo essere scampati a un attacco in una delle chiese cristiane della città in cui vivevano. Nell’esplosione erano morti i genitori della coppia e una figlioletta.
Emmanuel e Chinyery, raccontano coloro che li hanno accolti, erano sopravvissuti agli attentati jihadisti, alla traversata del deserto, a indicibili violenze in Libia, prima di riuscire a imbarcarsi per l’Italia e tentare la tragica lotteria del viaggio nel Mediterraneo su una carretta del mare.
Arrivati sulle nostre sponde, hanno raggiunto le Marche dove sono stati ospitati nel seminario vescovile di Fermo, che accoglie profughi e migranti. Si erano convinti che nella tranquillità della provincia italiana avessero finalmente trovato la pace e invece si sono imbattuti nella barbarie razzista di un mostro ben peggiore di quelli a cui erano sfuggiti.
Una barbarie che cresce nell’indifferenza, nell’indulgenza e nella compiacenza di larghi settori della comunica e delle istituzioni italiane.
A questo punto mi chiedo, dobbiamo farlo tutti, cosa aspettiamo a mettere al bando con ogni mezzo, ognuno di noi, comuni cittadini e non, il razzismo che si annida nella nostra vita sociale e politica, in modo netto, indiscutibile, definitivo?


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