Non c’e’ scampo nella morsa del potere. Il principe rosso di Qiu Xiaolong

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Chen Cao è nei guai. Il compagno ispettore capo della polizia di Shanghai, forse per aver sfiorato in una delle sue indagini, persino a propria insaputa, un ‘Principe Rosso’ della nomenklatura governativa, da un giorno all’altro è stato rimosso dall’incarico e assegnato alla ‘direzione del Comitato per la riforma del sistema legale’; una scatola vuota dove l’investigatore non avrà più occasione di intralciare i disegni degli ‘intoccabili’ del Partito, e sarà privato degli strumenti per proteggere se stesso da qualsiasi attacco personale e strumentale. Una retrocessione mascherata da promozione, un espediente per toglierlo di mezzo. Ma ora che succederà di lui? Da vari segnali Chen capisce che la miglior tattica è di rendersi momentaneamente invisibile, e in occasione del Qingming, la festività dei morti, lascia Shanghai alla volta di Suzhou, per provvedere alla  manutenzione della tomba del padre e al pagamento della relativa tassa annuale. Dice Confucio: “Se presenti un’offerta alla tomba dei defunti, essi appariranno di fronte a te come se ancora fossero vivi”. Un compito da ‘figlio devoto’ nell’attesa di capire cosa sta succedendo a Shanghai. Privato ormai dell’auto di servizio, si muove in treno e con corriere scalcagnate, confondendosi nella folla. Ha un po’ di soldi da parte per far fronte alle spese immediate; e qualcuno al dipartimento di polizia gli è restato amico, a iniziare dal vice Yu che ha preso imprevedibilmente il suo posto. Ma la bufera si addensa inesorabile; la casa della madre è stata messa a soqquadro in cerca di chissà quali indizi, l’anziana donna è finita in ospedale accudita da conoscenti pietosi. Ora Chen sa con certezza di essere nell’occhio del mirino, senza comprenderne le ragioni. Simile al protagonista del romanzo di Kafka, Il Processo, il quale intuisce di essere colpevole agli occhi di un Tribunale inaccessibile, ma non conosce l’accusa, dalla quale pertanto non può difendersi. L’ispettore è già riuscito a sfuggire a una trappola micidiale, per un puro colpo di fortuna. Invitato a presentare il volume di poesie di T.S. Eliot, da lui tradotto, nel più “esotico e oscenamente costoso” night club della città, Il Mondo Celestiale, viene circuito da due ragazze di irresistibile seduzione, mezze nude in costume da gatta; ma sul punto di varcare la soglia della camera riceve sul cellulare una chiamata della madre, si allontana all’esterno del padiglione per parlare con lei, e assiste non visto all’irruzione della squadra della Buon Costume inviata per coglierlo sul fatto, distruggendone senza scampo la reputazione. Riesce a dileguarsi nella notte. Ma chi vuole con tanta determinazione la sua rovina?

Inizia così la nuova avventura (la nona) scritta da Qiu Xiaolong sul detective più celebre dell’Estremo Oriente, un poliziotto ‘confuciano’ appassionato di letteratura anglosassone e in grado di recitare a memoria i più eccelsi poeti cinesi delle antichissime dinastie imperiali. Chen Cao, con caratteristiche diverse  dall’ispettore Maigret, presenta tuttavia singolari affinità con il personaggio di Simenon così capace di condurci attraverso le sue inchieste nei segreti di Parigi, evocandone  sapori, scorci, la penombra delle portinerie. Qiu Xiaolong, ormai naturalizzato americano (insegna letteratura cinese alla Washington University di Saint Louis), si serve di Chen Cao, suo alterego, per raccontarci la Cina del post maoismo nelle sue intricate sfaccettature. Shanghai è restituita con sottile gusto della memoria, dei particolari insoliti, delle trattorie in cui è possibile ritrovare i sapori tradizionali di un’epoca scomparsa. Questa volta la ghiottoneria riguarda i tagliolini, da assaporare specialmente la mattina presto, bolliti con la prima acqua di cottura e serviti con gamberetti “al di là del ponte” sbucciati e fritti con foglie di tè Pozzo del Drago, o con cipollotti verdi croccanti e maiale sminuzzato o in mille altre fiorite combinazioni.

Intorno a Chen Cao aleggia un universo inconfondibile, dal fascino torbido; pulsa una megalopoli insonne dominata da avidità, corruzione, delitti, lotta per il potere, sulla quale spadroneggiano gli onnipotenti ‘Principi Rossi’: “Il mito dell’egualitarismo maoista, esaltato dalle autorità del Partito durante la Rivoluzione Culturale, stava sbiadendo in un sogno ormai perduto”.

Il genere noir, utilizzato dallo scrittore di talento per entrare nel ventre molle della città, serve a non allentare mai la tensione della trama, studiata per incollarci alla pagina fino all’ultima riga.

Questa volta l’enigma è anche maggiore perché l’ex ispettore capo della polizia di Shanghai indaga alla cieca, essendo egli stesso l’oggetto del mistero, il candidato all’imboscata mortale in cui lo stanno attirando per sbarazzarsi di lui: la posta in palio è la sopravvivenza, e per avversario ha la Casta nel suo sembiante più imperscrutabile. Da un lato c’è il capo del partito di Shanghai, Lai Xi,  in rapida ascesa verso le sfere altissime della Città Proibita di Pechino; dall’altro ci sono gli scandali da soffocare prima che possano ostacolarne la carriera e le ambizioni. E c’è la “terra di mezzo’ con i suoi faccendieri, gli speculatori, il fiume di soldi (yuan) che ormai scorre nelle mani dei boiardi di stato assuefatti a vite dispendiose, tra lussi e stili di vita che poco hanno da invidiare alla decadenza occidentale.

E il sesso naturalmente svolge un ruolo determinante. Gli alti funzionari del partito, di nascosto alla famiglia, foraggiano almeno una giovane amante, una ernai (concubina), che ricoprono di doni e privilegi per goderne le grazie nei pochi spiragli di un’esistenza convulsa: “Qian indossava un qipao azzurro, un abito di foggia mandarina, e le spalle avvolte in uno scialle di cachemire bianco mettevano in risalto la silhouette slanciata. Sembrava uscita con passo leggero da una poesia di Tu Mu”.

Un “signore degli appalti”, Liang, sparisce di circolazione travolto da uno scandalo; un trafficante americano, Daniel Martin, viene trovato ammazzato nel suo albergo; una cortigiana ‘cantante d’opera’ finisce vittima di giochi più grandi di lei; e solo Chen Cao, benché estromesso dalle sue mansioni, possiede la capacità, le conoscenze, le informazioni e le competenze per ricomporre il puzzle sanguinario e forse, salvando la propria vita, riuscire a ricondurre ancora una volta la sua amatissima Shanghai nell’alveo di una sia pur vacillante legalità. Una notte trova rifugio insperato nel lussuoso appartamento di Nuvola Bianca, che in segreto lo ama, e si perde ad ammirare il paesaggio che più lo emoziona: “Fuori della finestra, il Bund era davvero mozzafiato. Le luci al neon proiettavano magnifici arabeschi sull’acqua e nel cielo, mentre di tanto in tanto lungo il fiume passava un’imbarcazione la cui ombra si sdoppiava su quello sfondo sognante”.  La ragazza si allontana verso la stanza da bagno: “Una volta entrata fece scivolare via l’accappatoio e la sua schiena, sotto la luce, balenò di un biancore niveo”.

Si imparano molte cose con Qiu Xiaolong: per esempio che in Cina una ragazza naturalmente priva di peli pubici viene chiamata Tigre Bianca, e tradizionalmente si pensa che rechi disgrazia al maschio con cui si accoppia. A meno che quest’ultimo non sia un Drago Blu, come a tutti gli effetti è sempre stato l’Imperatore della Cina. Ciò che questa immagine racchiude lo scoprirà il lettore in uno dei capitoli più carnali e ammalianti del romanzo. Splendida la traduzione di  Fabio Zucchella (Marsilio, 376 pp.,  euro 18.50).


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