Napoli e un’infanzia a fumetti. Intervista a Cristina Portolano

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Come può essere raccontata Napoli? Sicuramente con molteplici modalità. Ma la scelta fumettistica di Cristina Portolano  rappresenta, senza dubbio, una visione pregna di originalità. Il suo lavoro “Quasi signorina”, (TopiPittori editore), grazie al fumetto riesce a raccontare tanti avvenimenti importanti, ma anche la vita semplice di una bambina che non smetterà mai di sognare.  Il prossimo 19 aprile il libro sarà presentato alla Libreria Feltrinelli di Napoli, in piazza sei Martiri. Noi di Articolo 21 l’abbiamo ascoltata in anteprima

Ha deciso di raccontare la sua vita con un fumetto. Perché?
Ho scelto questo linguaggio fin da piccola, leggevo molti fumetti e adesso è naturale disegnarne ed esprimermi con questo mezzo.  Per me è un linguaggio completo. Il motivo, poi, per cui ho deciso di raccontare proprio la mia vita, ma soprattutto l’infanzia, è perché non avevo ancora letto un fumetto del genere e ne sentivo la mancanza. Nasce da una necessità personale, volevo far pace con la mia famiglia, raccontando la storia che tutti, prima dei momenti peggiori che tutti viviamo, siamo stati felici.

Lo scenario è Napoli, e lei ha voluto miscelare narrazione storica e personale inaugurando un nuovo filone per raccontare questa città?
Non so se ho inaugurato un nuovo filone non lo posso sapere, se non altro non era nelle mie principali intenzioni, ma se qualcuno viene ispirato da questa cosa ben venga. Per quanto riguarda Napoli,  il racconto della città, con  il fumetto, scarseggia. Più che altro a me interessa il reportage e il racconto della realtà, infatti nel 2009 ho vinto il premio reportage disegnato indetto dal mensile NAPOLI MONITOR (http://napolimonitor.it ), esponendo alla galleria HDE. Sono l’ unica ad aver vinto quel concorso, gli anni successivi la redazione ha deciso di eliminare proprio la categoria concentrandosi solo su reportage scritto e fotografico. Vinsi con una storia che faceva parte della mia tesi della triennale (un fumetto) pensata, scritta e disegnata da emigrante a Bologna. Divertente no?

Certamente…
Questo è sintomatico di come siamo messi in città sul versante delle arti visive, del fumetto e l’illustrazione. Purtroppo a Napoli, tranne in alcuni casi, con il fumetto non si indaga davvero la città bensì si “usa”  come sfondo a delle storie trascurabili e di poco valore (supereroine camorriste e personaggi inutili e stereotipati o ancor peggio “folkloristici”). Manca una visione originale e profonda. Di Napoli sono anche  molte persone bravissime che adesso collaborano con la Francia, l’America, però comunque molti di loro che hanno a che fare col fumetto non aiutano affatto al racconto della città o al ragionamento su altre metodologie di racconto. Faccio un esempio: quando ho frequentato la scuola italiana di Comix ( a 14 anni!)  ero l’unica persona a leggere le prime graphic-novel di autori Italiani  mentre tutti intorno a me volevano disegnare Dylan Dog o disegnare per la Marvel e cose così. Nessuno mi ha mai detto: “Guarda puoi disegnare quello che vuoi, il mondo non è solo o bianco o nero”. Questo l’ho capito a Bologna, e questa credo che sia una cosa importante da sapere a prescindere da quello che ti piace disegnare.
E non credo neanche a chi dice: “Non puoi raccontare la città se non ci vivi più”. Io credo invece che è proprio non vivendoci che si racconta meglio, scevri da sentimentalismi, emozioni che ti oscurano la vista e moralismi insensati, poi ovviamente non si può scendere nel dettaglio ma io credo che la diversità, anche di sguardi, sia sempre una ricchezza. Chi pensa il contrario mi fa paura. E poi ho raccontato la mia infanzia non quella di un altro.  Poi ognuno, appunto, è libero di disegnare Napoli come vuole e usarla come gli sembra più giusto ma certamente, in questo modo, non si creano prodotti degni di restare nella memoria collettiva e ne contribuiscono ad arricchire una visione di città.

Gli scudetti del Napoli, lo scoppio della centrale di Cernobyl, l’assassinio di Paolo Borsellino, il Rinascimento napoletano e la famosa montagna di sale installata in piazza Plebiscito e le vacanze estive in Romagna sono gli anelli di una narrazione dove, però, l’ossatura principale è la sua vita: neonata, bambina, adolescente ed un sogno che si realizza quello di andare a studiare a Bologna.
Per me la Storia con la S maiuscola e le storie minime si devono sempre mescolare.  Mi interessa l’influenza che la Storia ha sulle persone e anche il totale scivolamento che essa ha sulle loro vite.  Nel libro tutte queste vicende che ha elencato ci sono, ma c’è anche la vita di una bambina che le ignorava totalmente.  Questo per far capire che il mondo va avanti a prescindere da noi. E’ la consapevolezza che ho di essere una minima parte di un tutto gigante e totalmente indipendente da quello che posso fare e provare io. Mi interessa raccontare il tempo “interiore” e il tempo “esteriore”.  Mi piace che il lettore si domandi durante la lettura: dov’ero io in quel momento? Come dicevo prima mi interessa moltissimo il reportage e il fumetto di realtà a cui mi sono  avvicinata a Ravenna grazie al festival KOMIKAZEN (http://www.komikazenfestival.org )  in seno al quale è nato un progetto con cui collaboro tutt’ora e che mi sta molto a cuore:  http://graphic-news.com . L’intento del sito è raccontare la “realtà” (che va dalla cronaca, ai reportage fino alle recensioni) a fumetti ma in un formato molto fruibile e facilmente consultabile da tablet, cellulari e pc.  Siccome non sono una giornalista ma mi interessa avere uno sguardo sempre “alternativo” e indipendente sulle cose che succedono nel mondo questo sito è un buon modo per tenere allenato il cervello e la mano. Si la montagna di Sale e le opere di Paladino le ho inserite nel mio libro perché mi piacevano e sono ricordi vividi della mia infanzia. Il sogno che si realizza di andare a vivere a Bologna non è esplicitato! La bambina ha questa idea…ma la madre le dice: “Ora pensa a finire la scuola!”. Solo alla fine del libro, leggendo la mia biografia, capisci che si è realizzato.

Raccontare la realtà con un fumetto permette di sdrammatizzare ma, allo stesso tempo di essere più acuti ed incisivi nella critica?
Si sdrammatizzare è un buon metodo per avvicinarsi ai lettori, con l’ironia ti sto dicendo una cosa pesante ma allo stesso tempo ti sto facendo ridere. Poi rispetto a un lavoro del genere non si può non essere critici se per critica intendiamo pensante e porsi delle domande su ciò che accade intorno e dentro di noi.


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