Regeni: droga e occhiali non erano suoi

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Per capire quanto sia ingenuamente falsa l’ultima (per ora) versione egiziana sulla morte di Giulio Regeni basta fare i cronisti. Cioè mettere in fila tutti gli elementi falsi messi in mostra dal governo del Cairo.

Primo elemento: dice la polizia che l’italiano è stato ucciso in un tentativo di rapina da quella “banda specializzati in rapimenti di stranieri”. Allora è un rapimento o una rapina? Di sicuro sono stati ritrovati in casa i 300 euro che Giulio teneva per le emergenze e anche sul bancomat nero, fra i reperti mostrati, non c’è traccia di movimenti: 800 euro c’erano e 800 euro ci sono. L’unica cosa di valore era il computer, ma è stato ritrovato al suo posto, nel solito cassetto.

Secondo elemento: l’autopsia italiana non lascia dubbi, Regeni è stato ucciso sette giorni dopo il rapimento. E il corpo mostra inequivocabili segni di tortura, 20 fratture, bruciature di sigarette, lesioni interne, rottura della colonna vertebrale causa della morte, un trattamento da professionista più che una reazione scomposta a chi si difende da una rapina.

Terzo elemento, il più inquinato. Il ministero dice che il borsone rosso con gli effetti personali è stato ritrovato in casa del capo della banda di rapitori, Tarek Abdel Fatah, la polizia dice invece che è stata  ritrovata nella sua auto. Ma c’è di più. La moglie di Tarek sostiene che il borsone è arrivato in casa solo da cinque giorni (e Regeni è morto due mesi fa), mentre la sorella è convinta che il fratello l’ha portato in casa solo il giorno prima di essere ucciso. Non è ancora tutto. Nel borsone sono stati ritrovati il passaporto, la carta di credito, il bancomat, badge universitari, un paio di occhiali da sole e quindici grammi di hascisc. Mohammed el Sayed, avvocato coinquilino di Giulio, ha smentito categoricamente: l’italiano non fumava droga. E Amr Asaad, altro amico di Regeni, ha smentito che quegli occhiali fossero i suoi.

Una serie incredibile di menzogne, dunque, che arriva dopo tante altre menzogne e depistaggi spesso puerili. La verità è che Giulio Regeni è stato preso il giorno dell’anniversario di piazza Tahir: uno studente straniero, amico dei sindacalisti, perfetto nemico del regime. Difficile che quel giorno, blindatissimo, girassero rapinatori. Come da tempo sostengono le Ong locali che protestano contro le centinaia di arresti abusivi, più facile che girassero squadracce al soldo dei servizi segreti. Ma non basta uccidere quei banditi per inventarsi una verità.


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