Il terrorismo è un ragù

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Carne che bolle a fuoco lento nelle grandi pentole della periferia. Per anni. Quelli che passano da quando nasci, a quando capisci che sei diverso. Che non sei niente. E nessuno ti dà una mano. Ma tutti ti dicono di stare buono. Ti è andata male. Sei nato nel posto sbagliato. Con un colore della pelle sbagliato. In una famiglia senza soldi. Ma se stai buono, qualcosa ti troveremo da fare. Cerchi il tuo valore, ma nessuno te lo riconosce. Solo la violenza ti dà soddisfazione. Più facce spacchi, più sei rispettato. E le risse diventano bande. Il ragù bolle di rabbia. La polizia arriva, spinge, manganella, ferma, se ne va. Cerchi uno sbocco, ma i bordi della pentola sono lisci e invalicabili. Vai dentro e nella cella c’è il tizio con la barba che ti parla di religione, di infedeli e ti dice che la tua rabbia ha un valore. Perché c’è un dio violento che premia i violenti. E ti senti – per la prima volta – di avere una dignità, perché hai una missione. Devi morire, per vivere. Esplodere, per farti notare. Diventare poltiglia, per non essere più ragù.

Andiamo nelle periferie a prevenire la rabbia. A ridare speranza a chi è ghettizzato. Buoni insegnanti, un teatro, scuole di musica, eventi in piazza, gemellaggi con periferie di altre città europee, video per raccontarsi, visite di artisti che parlano nelle scuole, nei bar, nelle biblioteche pubbliche. Rompiamo l’isolamento, creiamo dignità per prevenire oggi i terroristi di domani. Mai più periferie-pentole. Mai più ragù.

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