Il valore di una Costituzione: 60 anni fa lo “sciopero alla rovescia”

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“Nelle perfette democrazie il popolo rispetta le leggi perché ne è partecipe e fiero”. E pare  che anche in Italia questo sia accaduto,  laddove (come nella nostra Costituzione), ci si è rispecchiati in grandi parole preannunziatrici di futuro: “Pari dignità sociale”, ”rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, “Repubblica fondata sul lavoro”.

Ce lo spiegava negli anni ’50 Piero Calamandrei.  Forse abbiamo rimosso,  ma 60 anni fa (era proprio il mese di febbraio) accadde quello che fu definito  “lo sciopero alla rovescia”.   Qualcuno scrisse “Banditi a Partinico”, ma nei nostri ricordi, scritti o filmati, di quel tale Danilo Dolci non se ne vede più  traccia. Allora sarebbe il caso di rileggere la ricostruzione di Calamandrei, nell’arringa che concluse il processo nel quale, per quello sciopero, Danilo Dolci venne trascinato alla sbarra coi ferri ai polsi, come fosse un bandito: “Ci sono a Partinico  migliaia di disoccupati. La Costituzione dice che il lavoro è un diritto e un dovere. Allora, che cosa fanno questi settemila disoccupati: invadono le terre dei ricchi, saccheggiano i negozi alimentari, assaltano i palazzi, si danno alla macchia, diventano banditi? No. Decidono di lavorare: di lavorare gratuitamente; di lavorare nell’interesse pubblico. Nelle vicinanze del paese si trova, abbandonata, una trazzera destinata al passo pubblico; nessuno ci passa più, perché il comune non provvede, come dovrebbe, alla sua manutenzione; è resa impraticabile dalle buche e dal fango. Allora i disoccupati dicono: “Ci metteremo a riparare gratuitamente la trazzera, la nostra trazzera. Ci redimeremo, lavorando da questo avvilimento quotidiano, da questa quotidiana istigazione al delitto che è l’ozio forzato. In grazia del nostro lavoro la strada tornerà ad essere praticabile. I cittadini ci passeranno meglio. Il sindaco ci ringrazierà”. […] È un caso, si potrebbe dire, di esercizio privato di pubbliche funzioni volontariamente assunte dai cittadini a servizio della comunità e in ossequio al senso di solidarietà civica. Allora, per impedire [questo] misfatto, arrivano i soliti commissari Lo Corte e Di Giorgi, e questa volta non si limitano alle diffide. Questa volta fanno di più e di meglio: aggrediscono questi uomini mentre pacificamente lavorano a piccoli gruppi dispersi sulla trazzera, strappano dalle loro mani gli strumenti del lavoro, li incatenano e li trascinano nel fango, tirandoli per le catene come carne insaccata, come bestie da macello”.

Questo era allora quello Stato: sulla carta non più fascista ma che faticava parecchio ad uscire, lentamente, dal precedente ventennio e aveva la faccia di quei commissari. L’accusa era di occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale, e a Dolci e ai suoi collaboratori venne negata la libertà provvisoria.  L’opinione pubblica si mobilitò allora contro la Polizia e il Governo (era quello il tempo dei Governi Scelba, Segni, Zoli, Tambroni, Fanfani) deputati e senatori intervennero con interrogazioni parlamentari, le voci più influenti del Paese si schierarono a fianco di Dolci. Non era più lui sotto accusa ma l’art. 4 della Costituzione (“Processo all’art. 4” / Sellerio). Nella sua lotta contro le mafie Dolci si fece non pochi nemici soprattutto  in quella Sicilia che non dimentica, di padre in figlio. E magari qualcuno gode ancora di buona salute. Un motivo in più, allora, per non dimenticarlo noi.

Non è mai stato facile ritrovarsi e riconoscersi intorno ad una Costituzione. L’Europa lo sa, ci ha provato negli anni recenti e chissà se ci proverà ancora. La stessa Onu si fonda su una Carta:  pensata dopo il primo conflitto mondiale, realizzata dopo il secondo: è certo qualcosa di più di un Trattato internazionale, ma molto meno di una “Costituzione dell’intera umanità”, come avrebbe voluto essere.

Però nel ’56 i pescatori e lavoratori di Partinico credevano in quella giovanissima Costituzione e lottavano per vederla applicata. Ma il conformismo del “solooggi” ci condanna all’oblio. A volte davvero “siamo solo noi”, senza sentirci padri dei nostri figli e  tantomeno figli dei nostri padri. Allora varrebbe la pena di rileggere quelle pagine e ricordare Dolci e Calamandrei nei nostri giornali. Vivendo nel perenne presente, dimentichiamo il passato che è la nostra storia e ignoriamo il futuro che è il nostro percorso.


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