Silvana Pampanini e l’Italia che non c’è più

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Ci ha lasciato a novant’anni Silvana Pampanini: conturbante icona di bellezza e sensualità, attrice poliedrica e donna che per decenni ha scatenato le fantasie erotiche di milioni di italiani. Ma soprattutto, ci ha lasciato un simbolo, un modello, un punto di riferimento, uno degli ultimi protagonisti di un’Italia che non c’è più e che molti di noi, compreso chi come me non l’ha mai vista, rimpiangono.

Rimpiangiamo quel Paese povero e ingenuo, idealista e scanzonato, nel quale era facile far credere alla popolazione che le madonne piangessero e che in caso di vittoria dei comunisti avremmo avuto i cosacchi pronti ad abbeverarsi in piazza San Pietro ma nella quale, al tempo stesso, le persone perbene non erano ancora considerate fesse, essere onesti non costava fatica e nessuno si sarebbe mai sognato di mettere in discussione le conquiste democratiche legate alla Costituzione, in quanto era ancora viva la memoria di cosa fosse stato il fascismo e di quanti lutti, sangue e disperazione ci fosse costato.

Rimpiangiamo quel cinema, a metà fra neo-realismo e commedia all’italiana, denuncia e dilagante voglia di vivere, analisi e riscatto, lotta contro la disperazione e il disincanto e grande favola collettiva, in un tempo nel quale anche le utopie erano ammesse e considerate con benevolenza.
Silvana Pampanini non è stata un’attrice universale, benché non le mancassero i tratti tipici della diva, e possiamo dire che sia durata una sola stagione, quella a cavallo fra gli anni Quaranta e i Cinquanta, prima di un garbato declino senza particolari sofferenze. È stata, come detto, l’immagine di un’epoca, il volto di un’Italia in cerca di riscatto, l’attrice mito di una-due generazioni, salvo capire al momento opportuno che era giunta l’ora di farsi da parte, che la sua bellezza esplosiva non era più quella degli anni d’oro, che quell’Italia non esisteva più e che anche il suo modo di intendere il cinema, probabilmente, non avrebbe più funzionato.

E così si è progressivamente ritirata dalle scene, senza rancori, rispettata e stimata da tutti, facendo calare lentamente il sipario su una bella storia nella quale è tuttora facile riconoscersi, su una magia sbocciata a Miss Italia nel ’46, in un paese ancora ridotto in macerie e squassato da vendette e rappresaglie, e destinata a durare il giusto, prima di cedere il posto ad altre dive, ad altre bellezze, ad altre icone al passo con un mondo che stava vorticosamente cambiando, dando vita a stagioni di gloria ugualmente effimere ma senz’altro meno romantiche.

È uscita di scena con eleganza e buonsenso, è invecchiata bene, ha raggiunto i novant’anni e se n’è andata senza clamore, lasciando che a parlare fosse il ricordo di ciò che è stata, della sua meraviglia ammaliante, del suo essere l’emblema di una nazione che voleva tornare a volare, dei sogni e delle speranze di ragazzi che avevano visto la morte, l’orrore, la devastazione e pianto innumerevoli lacrime per amici, parenti e conoscenti caduti sull’uno o sull’altro fronte di quella barbarie.
Addio a un’Italia che non c’è più, addio ai suoi simboli, alla sua poesia, alla sua bellezza, alle sue tragedie, alle sue speranze e a tutto ciò che ha caratterizzato quegli anni lontani e irripetibili. Addio a un cinema dal sapore antico, a una signorilità che progressivamente è andata perduta, a uno stupore e a un’innocenza quasi fanciullesca, a un candore ingenuo e dolcissimo del quale avvertiamo sinceramente la mancanza, anche perché ne avremmo più che mai bisogno.


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