Le case-famiglia e i diritti dei bambini

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3 miliardi l’anno vengono distribuiti a pioggia a strutture convenzionate per “ospitare” i bimbi con famiglie indigenti o con genitori conflittuali.
Di Virginia Rota
I dati, snocciolati uno a uno, fanno impressione. Ogni anno in Italia si spendono 3 miliardi di euro per mantenere i bambini nelle case-famiglia: si tratta di una cifra che oscilla tra gli 80 e i 400 euro a testa al giorno. Secondo una ricerca i bimbi, dopo 4 mesi in queste strutture, riportano danni fisici e culturali, scarsa autostima, cattivo apprendimento e via elencando. Eppure, il fenomeno dei bambini affidati alle case-famiglia è in continuo aumento. Solo a Roma nel 2012 erano 1600 i minori tolti alle famiglie e ospitati nelle strutture protette (30% in più in 10 anni). Spesso per indigenza delle famiglie, spesso per una sindrome che non esiste: la Pas, la cosiddetta Sindrome di alienazione parentale di cui tante volte si è occupata GiULiA.

Tutti questi dati sono relativi al 2012: dopo non risultano più – neppure ai parlamentari che intendono occuparsene – altre ricerche, analisi, approfondimenti. Quanti bambini sono stati portati nelle case-famiglia perché provenienti da famiglie indigenti, quanti sono vittime di decisioni assai contestabili del Tribunale dei minori per conflitto tra i genitori, non si sa. Quanto sarebbero potuti essere spesi meglio quei soldi, a favore dei bambini e dei loro diritti, nessuno ha fatto i conti.

La buona notizia è arrivata al recente convegno “Mater incipit vitae. Lo stato protegge i suoi figli?” (alla fine di ottobre, ad Assisi), dove la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, ha detto che “Nessuno intende fare spending review sui bambini”. Almeno questo. Ora però si attende che i parlamentari interessati (per fortuna ce ne sono) riescano a lavorare in una commissione interparlamentare, per fare chiarezza sulle risorse e sulla loro destinazione. Ma, prima di tutto, sui diritti dei bambini che in questo “mercato” sono solo oggetti, non cittadini.

Il convegno di Assisi, in realtà, non si è fermato a questo: Antonella Penati (la mamma di Federico Barakat, ucciso dal padre in un “incontro protetto” quando aveva solo 8 anni) ha richiamato in una due giorni fittissima di interventi tutti gli attori possibili del sistema, dagli avvocati ai giudici, dagli assistenti sociali agli psicologi, dai poliziotti ai giornalisti, ai politici, per esaminare lo spettro più ampio possibile dei problemi che si intrecciano sulla testa dei bambini.

Da questo convegno Penati con la sua associazione “Federico nel cuore” ha lanciato anche una campagna, www.fight4chilprotection.org, “per contribuire alla creazione di una cultura di maggiore attenzione ai diritti del bambino, attraverso strumenti formativi, sportelli di aiuto e campagne informative”.

Ma quello dello scandalo delle case-famiglia (pur nella diversità degli interventi) è stato uno dei punti più dolenti: e vengono in mente le immagini di bambini letteralmente strappati alla loro vita – basta la memoria delle immagini sconvolgenti del bimbo di Civitella (Pd), mandate in onda da “Chi l’ha visto?”- mentre si fanno i conti dei soldi che forse, in modo assai più proficuo, potrebbero essere destinati ai bimbi per permettere loro una vita migliore, invece di distribuire i soldi a pioggia a strutture d’accoglienza che nascono come funghi.


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