Elezioni Francia, la diga non argina le ragioni della rabbia

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Dio solo sa quanto sia positivo il fatto che in Francia la cosiddetta “alleanza repubblicana”fra socialisti ed ex gaullisti sia riuscita ad arginare l’avanzata del Front National alle Regionali, impedendo la vittoria sia di Marine Le Pen nel Nord-Pas de Calais-Picardie sia della nipote Marion nel PACA (Provence-Alpes-Côte d’Azur). È un bene per la Francia e per l’Europa, le quali, in caso di affermazione della demagogia frontista, si sarebbero trovate a dover fronteggiare un’analoga avanzata di compagini anti-europeiste in molti altri paesi, con conseguenze forse irrimediabili per il futuro stesso del Vecchio Continente.
Guai, tuttavia, a lasciarsi andare ad eccessivi festeggiamenti perché se il patto repubblicano fra le forze democratiche è riuscito, ancora una volta, ad impedire il trionfo dei “barbari”, è altrettanto vero che la diga è ormai molto più sottile rispetto a quanto non fosse nel 2002, quando Chirac sconfisse al ballottaggio Jean-Marie Le Pen con oltre l’80 per cento dei consensi.
In una democrazia compiuta e solida, a nostro giudizio, partiti come quello della Le Pen, che per quanto si sia notevolmente moderato e modernizzato rispetto al passato, resta comunque espressione di un’ideologia che affonda le sue radici nella Repubblica di Vichy del maresciallo Pétain, nel collaborazionismo con i nazisti e nell’esaltazione delle barbarie compiute dai miliziani dell’OAS (Organisation Armée Secrète) ai danni dei ribelli algerini, un partito del genere non dovrebbe nemmeno esistere o dovrebbe essere ridotto ai minimi termini. Se tanto Marine quanto Marion sono oggi oltre il 40 per cento, ciò è dunque sintomo del malessere profondo che scuote la democrazia d’oltralpe, attraversandola da nord a sud, coinvolgendo sia il nord deindustrializzato e squassato dalla crisi economica e da una disoccupazione arrembante sia il sud delle ricche passerelle di turisti danarosi e divi in cerca di luci della ribalta e inducendo tutti noi a interrogarci su cosa accadrà quando, fra due anni, il Paese sarà chiamato a scegliere il nuovo presidente.
Al momento, pare alquanto improbabile una nuova affermazione del presidente in carica, contestato e considerato inadatto dalla maggior parte dei francesi e reo di aver commesso alcuni errori, specie in ambito economico, frutto della subalternità culturale dell’intero socialismo europeo nei confronti dei dogmi liberisti e della dottrina monetarista in auge da oltre trent’anni e giunta all’apice grazie alla crisi dei debiti sovrani esplosa fra il 2007 e il 2008.
Più probabile, invece, sembra essere una vittoria, sia pur senza enfasi, dei Repubblicani di Sarkozy, i quali, in vista di un eventuale ballottaggio con i frontisti, potrebbero scegliere di puntare su uno chirachiano come Alain Juppé, decisamente più moderato rispetto a Sarkò e pertanto più appetibile per l’elettorato di sinistra che potrebbe trovarsi a scegliere, come nel 2002, fra una destra presentabile e una destra impresentabile.
È bene, però, porre sin d’ora una questione che non pare all’attenzione delle due formazioni democratiche francesi: le ragioni della rabbia che, al primo turno, hanno spinto quasi il 30 per cento dei cittadini a puntare sul Front National, ben conoscendo i rischi legati a questa scelta, come spiegato anche dal demografo e storico Hervé Le Bras, il quale ha paragonato quel voto all’acquisto di un biglietto della lotteria, quelle motivazioni profonde non sono affatto scomparse. Vengono dalle banlieue, dal degrado sociale, dalla povertà incipiente, dal senso di esclusione che caratterizza moltitudini sempre più insoddisfatte e dall’idea che non esista alcun modello né stile di vita da difendere, in quanto quello attuale si fonda sull’iniquità e sull’aumento del divario fra ricchi e poveri, fra chi vive nel centro di Parigi, dove guarda caso il Front fatica ad attecchire, e chi vive in zone in cui quel messaggio aberrante sembra invece l’unico in grado di dar voce al desiderio di vendetta di quelle masse abbandonate.
La diga ha retto, ed è un bene, ma scrollare le spalle e far finta di niente, limitandosi ad esultare per lo scampato pericolo, sarebbe il miglior viatico per una nuova ondata di piena alla quale nessun argine democratico potrebbe resistere.


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