Rai: Civati, “L’urlo salvifico “via i partiti” di Renzi si è rivelato solo uno slogan”

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di Giuseppe Civati

Ecco, dopo breve dibattito, a dispetto dei santi, la maggioranza ha bocciato le proposte di fermare il testo, in odore di lesione della consolidata giurisprudenza costituzionale. E non lo dicono qualche estremista d’annata o i gufi antirenziani. Diversi dei più importanti giuristi italiani e, da ultimo, il blasonatissimo Enzo Cheli di fronte alla Commissione parlamentare di vigilanza, si sono espressi con note assai dolenti verso l’articolato di Palazzo Chigi. E già, perché il breve ma inquietante testo altro non è se non la presa del comando da parte dell’esecutivo, che si sceglie la nuova figura dell’amministratore delegato. Cui sono attribuite funzioni che neppure l’antico direttore democristiano del vecchio monopolio – Ettore Bernabei – aveva. “Marchionnismo” mediatico? Sospetto legittimo. Autoritarismo di complemento, da vedere come in un grandangolo insieme al pasticcio orrendo fatto sul bicameralismo e sull’Italicum? Anche. Ma non solo. Sì, nell’iter del provvedimento nella commissione di merito del Senato, si è scritto –grazie agli emendamenti diretti o indiretti di Forza Italia- un vero e proprio “pasticciaccio”, un epifenomeno delle “larghe intese”.

Ha tragicamente le sue ragioni Maurizio Gasparri, il ministro dell’era berlusconiano che varò la pessima normativa attuale (la legge 112 del 2004, sussunta nel Testo Unico dell’anno successivo), a rivendicare una vittoria sul campo.

Infatti, il progetto del governo è la prosecuzione – con qualche “novella” peggiorativa – dei dettami della legge in vigore, quanto ad indipendenza ed autonomia. L’amministratore delegato è di fonte governativa e il consiglio di amministrazione –pur scendendo da nove a sette componenti- è a maggioranza (quattro su sette) di provenienza parlamentare. L’urlo salvifico “via i partiti” di Renzi si è rivelato solo uno slogan, cinico quanto sgradevole. Il controllo politico aumenta, altro che. Peggio.

Nel transito in Commissione l’effetto “notte” è persino peggiorato: il presidente sarà eletto dalla commissione parlamentare con i due terzi, come pure i direttori di testata in seno al consiglio di amministrazione. L’inciucio assurge ad estetica eterna, in un universo dove la sintassi e l’ortografia della società informazionale stanno cambiando: ma nessuno se ne cura.

Siamo lontanissimi dagli obiettivi minimi previsti dai vari annunci sulla banda larga e ultralarga, non c’è uno straccio di normativa moderna sulla “net neutrality” o sul “copyright”, i giornali fuori dai grandi gruppi chiudono, i conflitti di interesse imperversano.

La stessa emittenza locale, presa a pesci in faccia costantemente, viene accontentata con il miraggio di un canone ad hoc (se ne parla dal 1993…). Fa specie che diversi esponenti del Partito democratico abbiano parlato di missione del servizio pubblico, ribadita e rafforzata. Dove, quando? Il testo reale è tutt’altro: un mero esercizio d potere e sui poteri. Governance, come si usa dire. Anzi.

L’articolato infido non chiarisce neppure se la Rai rimarrà concessionaria del servizio pubblico. La convenzione scadrà nel maggio del 2016. Domani, grosso modo. Speriamo che si senta nelle prossime ore un’opposizione vera e che il tutto non passi come una pratica burocratica. Lavoriamo per una protesta visibile, già il prossimo martedì, quando comincerà il voto sugli emendamenti.


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