Giornalisti in zone di guerra. Rappresentante dell’OSCE richiama i governi

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Devono proteggere gli inviati rinunciando alla propaganda, ha detto Dunja Mijatović a Vienna, durante la conferenza sulla sicurezza dei cronisti

da Vienna – “Ci vuole coraggio” ha detto la rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media Dunja Mijatović. Lo ha ripetuto più volte, a Vienna, durante l’incontro “Journalists’ Safety, Media Freedom and Pluralism in Times of Conflict”, incentrato sul problema (sottovalutato) della tutela dei giornalisti in Europa, in particolare nelle aree dove sono in corso conflitti armati. Non basta il coraggio dei giornalisti che rischiano la vita. Rivolgendosi ai governi degli Stati membri dell’OSCE li ha invitati a “guardarsi allo specchio e ad essere più coraggiosi, ad adottare tutte le misure necessarie per proteggere i giornalisti” che seguono i conflitti per riferire all’opinione pubblica ciò che accade.

Certi governi, che sembrano più interessati alla sicurezza nazionale e alla propaganda che alla tutela dell’attività giornalistica, non dovrebbero “tentare di corrompere e manipolare i media ai fini della loro agenda politica”. Non devono farlo perché “senza un giornalismo coraggioso non ci può essere democrazia”.

All’incontro ospitato all’Hofburg, il complesso imperiale nel cuore della capitale austriaca, hanno partecipato trecento fra giornalisti, studiosi, esperti di relazioni internazionali e di diritti umani e diplomatici dei vari Paesi.

Non è stato un evento di facciata: non sono mancate le discussioni accese fra alcune rappresentanze diplomatiche. La Russia ha lamentato un doppio standard nella valutazione della propaganda nel conflitto in corso in Ucraina, mentre quest’ultima ha ricordato che sono 300 i propri giornalisti che hanno perso la vita durante lo svolgimento del loro lavoro negli ultimi 15 anni.  Confronto acceso anche fra cronisti provenienti dalle aree interessate dai conflitti. Particolarmente la discussione pomeridiana sull’etica giornalistica in guerra.

Delle manipolazioni operate dalla propaganda ha parlato Ivan Šimonović, dell’Alto Commissariato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Tali tentativi, ha detto, rischiano di trasformare i giornalisti in bersagli della parte avversa, mentre la loro attività è fondamentale per gettare luce sulla realtà, richiamare l’attenzione della comunità internazionale, promuovere tolleranza, pace, giustizia e diritti umani.

Interessante la testimonianza del premio Pulitzer Roy Gutman. Ha parlato della sua esperienza di inviato di guerra. È difficile, ha detto, raccontare i conflitti cercando di capire chi ha ragione, chi veramente ha dato inizio agli scontri, dire di chi ci si può fidare. Occorre evitare i luoghi comuni, concentrarsi sulle storie delle persone e denunciare violenze ed infrazioni dei diritti. È un compito rischioso: non solo si rischia di essere incarcerati o uccisi, ma anche di essere esclusi dai conflitti. “I governi non ci vogliono”, ha aggiunto, ma proprio per questo “è lì che io mi sento in dovere di essere. Spesso le vittime, le persone che non hanno voce propria, hanno solo noi per farsi sentire. Dobbiamo badare alla nostra sicurezza, ma dobbiamo fare il nostro lavoro, anche per loro”.

MF

Da ossigenoinformazione


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