Regno Unito, il fallimento della non sinistra

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Mettiamo da parte il provincialismo di analisti e commentatori di casa nostra e analizziamo, con laico e sereno distacco, ciò che è avvenuto giovedì nel Regno Unito. Ha rivinto ampiamente Cameron, ha perso il Labour di Ed Miliband, si è arrestata, almeno in parte, la corsa del pericoloso Farage e del suo UKIP, hanno subito un autentico tracollo i LibDem di Clegg ed è esploso oltre le più rosee aspettative lo Scottish National Party (SNP) della vulcanica leader Nicola Sturgeon.

Come interpretare quest’esito elettorale? Partiamo dal Labour e diciamo subito che Miliband ci ha messo l’anima, tentando in tutti i modi di ripulire l’immagine del suo partito dalle scorie del blairismo e lasciandosi andare ad un appello elettorale conclusivo quasi emozionante per la chiarezza e il coraggio del pensiero progressista che vi era all’interno. Il guaio del povero Ed è che non basta appellarsi ai valori della sinistra quando ormai il disastro è compiuto: non basta parlare di società, comunità e lavoro quando per vent’anni si sono predicate, e soprattutto praticate, le ricette del più bieco liberismo; e la devastante affermazione del partito della Sturgeon non va ricercato tanto nei postumi del referendum dello scorso settembre quanto, più che mai, in una frase aspra ma efficacissima sul piano comunicativo: “Odio la Thatcher”.

Il Labour tornerà a vincere le elezioni soltanto quando si renderà davvero conto che il vero nemico, degli scozzesi e dell’umanità, non è il richiamo ai princìpi cardine del socialismo che fu, e nemmeno quello, se vogliamo anacronistico, alle ideologie novecentesche; il cancro che sta distruggendo il mondo e corrodendo un Occidente in disarmo si chiama liberismo e la Thatcher ne è l’emblema. Finché il Labour, e con esso tutti i partiti della sinistra europea, non troverà la forza di sostenere pubblicamente che Blair, Schröder e la Terza via si sono rivelati delle colossali delusioni, e pertanto è ora di accantonarli, non sarà più credibile agli occhi dei milioni di persone che da quella pratica politica hanno tratto solo svantaggi, sotto forma di precarietà della vita, abbassamento dei salari, contratti ridicoli, disagi psicologici, privatizzazioni dannose e sempre a vantaggio dei ricchi e dei benestanti a scapito dei poveri e dei deboli: insomma, tutti i capisaldi della destra e del thatcherismo più deteriore che nulla dovrebbero avere a che vedere con la maturità di un autentico pensiero di sinistra.

Perché è inutile raccontarsi la storiella della Scozia che vince raccogliendo i frutti del referendum di settembre: quella per loro è stata una sconfitta che, con la correttezza tipica della politica di quelle latitudini, hanno riconosciuto e accettato senza piangersi addosso. La Scozia vince a causa dell’incapacità della sinistra inglese di comprendere e farsi interprete delle ragioni di quel referendum: checché ne dicano i secessionisti alle vongole di casa nostra, c’entrano poco gli istinti padani e identitari e molto, moltissimo la stanchezza di quel popolo socialista nei confronti di una Gran Bretagna sfiancata da trent’anni di aberrazione liberista, dunque sempre più prepotente, sempre più elitaria, sempre più escludente e arroccata su posizioni il cui fallimento è ormai conclamato ovunque.

Gli scozzesi hanno voltato le spalle al Labour perché non lo riconoscono e, in particolare, non lo accettano più; hanno detto basta al blairismo e al tardo-blairismo, alle reticenze di Miliband, alla sua difficoltà di rompere con un passato imbarazzante e rinnegare una stagione di governo che è stata tanto lunga quanto drammatica per il tessuto sociale, economico e politico del Paese.

Perché è inutile nascondersi anche che è dal 2005 che il Regno Unito è in sofferenza: Blair vinse per la terza volta in mancanza di avversari credibili, Brown andò incontro a una sconfitta di misura, aprendo le porte a un governo di coalizione fra tories e liberaldemocratici, Cameron vince oggi sulle macerie e dovrà gestire gli affanni di una nazione in declino e le pulsioni anti-europeiste di un popolo che, nel referendum del 2017, potrebbe persino scegliere di imboccare la strada suicida dell’abbandono dell’Unione Europea.

Il Labour, con ogni probabilità, adesso compirà il passo falso definitivo, riponendo in soffitta Miliband e facendo tornare in scena una brutta copia di Blair, il cui unico risultato sarà quello di spalancare le porte al malcontento, al dissenso interno e alla rabbia popolare, gonfiando le vele dell’impresentabile Farage e consentendo alla destra di governare indisturbata, forte dell’appoggio dei poteri economici e finanziari e ben contenta di assistere allo sfarinamento di una sinistra ormai non più tale che andrà nuovamente allo scontro con i sindacati nel tentativo di mostrarsi “moderna” agli occhi dell’elettorato.

Comunque vada, sarà un fallimento, come si sta rivelando un fallimento l’esperienza francese di Valls, come si è rivelata un fallimento l’esperienza tedesca di un SPD che ha divorziato da se stesso e dai suoi valori storici, come, ovviamente, è destinato a fallire il renzismo in Italia.

Ci rendiamo conto che la prospettiva non sia delle migliori ma questo è lo stato delle cose: dirsi la verità è l’unico modo per provare a ripartire, dato che gli effetti delle bugie li abbiamo già sperimentati e ci hanno condotto fin qui.


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