Il Rapporto 2014-15 di Amnesty: per fermare i massacri, rinunciare al diritto di veto

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Maltrattamenti e torture in 131 paesi, limitazioni alla libertà d’espressione in 119 paesi, abusi efferati da parte dei gruppi armati in 35 paesi, in 18 dei quali sono stati commessi crimini di guerra. Questi, alcuni dei numeri del Rapporto 2014-15 diffuso oggi da Amnesty International (e pubblicato in Italia da Castelvecchi). L’analisi globale della situazione dei diritti umani nel mondo riguarda ben 160 paesi e territori.

Nel 2014 milioni di persone sono rimaste intrappolate nella violenza: dalla Siria alla Nigeria, da Gaza all’Ucraina, dall’Iraq alla Repubblica Centrafricana e al Sud Sudan. Di fronte all’aumento degli attacchi barbarici di gruppi armati (che in alcuni casi hanno assunto un potere quasi statale) ma anche della repressione indiscriminata da parte di non pochi governi, la comunità internazionale non ha saputo dare risposte significative. A volte non le ha proprio date, neanche quando sono stati commessi crimini orrendi contro la popolazione civile da parte degli stati o dei gruppi armati.

In molti casi, questa violenza estrema ha prodotto una crisi dei rifugiati dalle dimensioni enormi: sono quattro milioni solo quelli che ce l’hanno fatta a uscire dalla Siria e nel 95 per cento dei casi sono ospitati dai paesi della regione, mentre un numero maggiore continua a rimanere intrappolato all’interno dei confini. Le prospettive per i prossimi anni sono tetre: l’ulteriore possibile estensione dell’influenza di gruppi come Boko haram o lo Stato islamico, con milioni di civili soggiogati e privati di qualsiasi diritto da poteri che si affermano come quasi-statali; il peggioramento della crisi dei rifugiati, a causa del proseguimento dei conflitti e dell’assenza di volontà politica da parte dei paesi più ricchi di offrire protezione e reinsediare quelli più vulnerabili.

Cosa suggerisce Amnesty International per evitare questi scenari?
In primo luogo, chiede ai cinque membri permanenti del Consiglio di rinunciare formalmente e preventivamente al loro diritto di veto nei casi di genocidio o di altri gravi crimini. Un atto di questo tipo potrebbe segnare un cambio importante di atteggiamento, oltre a essere uno strumento utile alla difesa di vite umane. Così facendo, i cinque grandi attribuirebbero alle Nazioni Unite un margine d’azione più ampio per tutelare i civili in caso di gravi rischi per le loro vite e invierebbero un segnale importante che il mondo non resterà a guardare passivamente.

Un’altra cosa concreta da fare dovrebbe essere quella di impedire l’afflusso di armi a chi, governi o gruppi armati, le usi per compiere gravi violazioni dei diritti umani. Lo strumento c’è: il Trattato sul commercio delle armi, la cui entrata in vigore, anche grazie a una lunga campagna di Amnesty International e di altre organizzazioni, è una delle non molte buone notizie dello scorso anno.

Inoltre, i leader mondiali dovrebbero usare il loro potere per alleviare la sofferenza di milioni di persone, destinando impegno politico e risorse economiche all’assistenza e alla protezione di coloro che fuggono dai pericoli, fornendo aiuti umanitari con maggiore generosità e organizzando il reinsediamento dei rifugiati più vulnerabili. Infine, occorrerà evitare risposte sbagliate alle “minacce alla sicurezza”.

Le nuove norme antiterrorismo entrate in vigore o proposte in alcuni stati europei dopo gli attacchi di Parigi e poi Copenaghen hanno elementi di vaghezza inaccettabili per una norma penale. La necessità di mantenere sicuro il mondo non può essere usata come alibi o pretesto per giustificare violazioni dei diritti umani, tra cui le ingiustificate sorveglianze di massa. Queste reazioni impulsive spesso creano un ambiente repressivo nel quale l’estremismo può crescere.

Insomma, Amnesty International si augura che non si vogliano rispolverare soluzioni alla Guantánamo o alla Abu Ghraib e riproporre quella ricetta, già rivelatasi fallimentare e controproducente dopo l’11 settembre 2001, di combattere il terrore col contro-terrore.
I principali contenuti del Rapporto 2014-15 sono disponibili all’indirizzo

www.rapportoannuale.amnesty.it


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