La crisi di identità dell’amministrazione penitenziaria e il problema del governo delle carceri

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Ieri diversi membri dell’associazione Antigone hanno organizzato un convegno al quale hanno contribuito diversi rappresentanti istituzionali, del comparto sindacale della funzione pubblica e della dirigenza penitenziaria, nonché operatori interni alle prigioni italiane. Uno scambio di idee sul vuoto nel governo delle carceri, fruibile anche in streaming, che evidenzia in maniera raccordata le difficoltà che ogni professionalità sta vivendo nell’affrontare lo stallo che si è generato a seguito della sentenza Torreggiani e delle innumerevoli difficoltà che oggi vive il pianeta carcere.

Un pianeta che vive un profondo abbandono, acuito dall’assenza di un effettivo Capo del dipartimento, dalla necessità di riorganizzare il D.A.P in maniera efficiente ma tagliando o accorpando nel rispetto delle norme penitenziarie, dalla esigenza di ristabilire un giusto equilibrio tra i bisogni del trattamento e quelli della sicurezza. Il residuo numero delle risorse umane impiegate nel processo di esecuzione penale mostra l’inadeguatezza per l’assolvimento della mission che l’Europa, la Costituzione e le leggi statali impongono. Risibile l’organico dei Magistrati di Sorveglianza, circa 150 in tutto il territorio italiano che nel tempo hanno visto aumentare il carico del lavoro sia nelle funzioni di vigilanza e garanzia dell’esecuzione della pena che nei percorsi di riabilitazione sociale; i direttori degli istituti vivono un periodo di assoluta solitudine, figura compressa tra il governo del personale e il management del penitenziario, spesso invitati a gestire più di una prigione in assenza di una riformulazione delle modalità per l’accesso a una carriera penitenziaria che sinora ha stabilizzato le figure ex lege (legge Meduri) e non attraverso aperti concorsi pubblici; impari la dotazione organica dei funzionari giuridico-pedagogici e del servizio sociale rispetto agli operatori della sicurezza, sui quali ricade non solo un compito di interazione e mediazione delle necessità del soggetto recluso ma anche il laborioso lavoro come consulente che relaziona al giudice dell’esecuzione.

Stagnanti anche le chiusure in termini professionali della polizia penitenziaria la cui sorveglianza dinamica sta mostrando i suoi fallimenti dovuti non a una mentalità poco incline al cambiamento ma alle malagevoli azioni per realizzarla senza adeguate tutele in termini normativi.

Interessante il sincero apporto del direttore dell’istituto superiore di studi penitenziari che ha apertamente evidenziato la presenza di humus intellettuale fervido e competente in tutti i ruoli penitenziari essendosi occupato per anni della formazione dedicata a tutto il personale dell’amministrazione, come anche alla sempre più sentita urgenza di riformulare lo spazio e il tempo della pena, argomenti di attualità da circa un ventennio.

Tutti i settori della Pubblica amministrazione vivono un momento critico per l’intervento sempre più massiccio rivolto alla burocratizzazione e per una concezione del senso della mansione intesa come formale adempimento, suddivisa in maniera meccanicistica nell’inconsapevolezza personale del ruolo incarnato come pure ai mancati raggiungimenti di obiettivi individuali e in team. Doversi discostare dal proprio mandato istituzionale provoca un senso di degradante disorientamento e stesso avviene nei casi determinati dalle frequenti delegittimazioni professionali consequenziali a un “non-riconoscimento”dell’importanza delle funzioni svolte. L’intervento del funzionario della professionalità giuridico pedagogica operante dal 1991 ha ben rappresentato quei piccoli aspetti della vita quotidiana in carcere che assumono una grande importanza se rapportati alle norme esistenti e al lavoro singolarmente prestato. Quello che l’amministrazione rischia è la vanificazione di un progetto normativo e di sicurezza sociale/legale di estrema rilevanza sul quale si è tanto investito sinora e che, se non arginato e considerato in una prospettiva organica e razionale rischia un totale fallimento. Azioni per rinfoltire le risorse umane esistenti, rendere gli ambienti di lavoro salubri per il personale e per l’utenza, formare dei team di professionisti partecipi e soddisfatti delle azioni svolte, regionalizzare i Provveditorati riconoscendo maggiore autonomia di funzione, in una cornice di innovazione tecnologica, normativa, e di formazione continua del personale, potrebbero riavviare l’ultimo ingranaggio dell’azione penale in chiave civile orientandola a una correttezza politica oltre che giuridica.


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