Il retrogusto amaro del gelato di Madia

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Ho una certa riluttanza a parlare di questa vicenda perché mi fa veramente schifo. Ne hanno parlato tutti e tutte con grande indignazione: la senatrice Laura Puppato ha lanciato su twitter il grido d’allarme e da lì si è scatenata un’onda che creato hashtag come #chivergognati o #sequestisonogiornalisti, #cisofareanchio con foto di donne che mangiano il gelato, mentre il direttore della rivista incriminata, Alfonso Signorini, si è rimediato un procedimento disciplinare dall’Ordine dei giornalisti lombardo. Sotto accusa sono le foto che “Chi” ha pubblicato con la ministra Madia che mangia un gelato e titolato “Ci sa fare con il gelato”, alludendo all’atto sessuale della fellatio. Un titolo certamente allusivo, assolutamente fuori luogo e che lede senza dubbio la privacy di una persona che, ministra o non ministra, stava tranquillamente mangiando un gelato come le pareva e piaceva, e soprattutto non sapeva di essere ritratta in questo suo momento privato in macchina con il marito. Il problema però è la natura del “batti e ribatti” che si è prodotto, e che da un lato ha fruttato al giornale una discreta pubblicità – vero obiettivo che in questo caso è stato centrato in pieno – e dall’altro ha sottolineato la moralistica sciatteria tutta italiana di non andare al nocciolo della questione ma di soffermarsi solo all’apparenza per gridare a un’indignazione che non sposterà una virgola dell’esistente in un panorama preoccupante e deprimente. Una superficialità che sceglie di rimproverare a Signorini di non aver dato “una notizia”, anche se si tratta di giornali che per loro natura non danno notizie ma si fanno gli affari altrui, ricalcando in maniera pedissequa quegli stereotipi uomo-donna che attirano un mercato – con tirature altissime qui in Italia – completamente immerso nell’immaginario comune più scontato e deleterio (quello che in realtà andrebbe cambiato alla radice).

Eppure la “non notizia” ha creato la notizia e si è gridato allo scandalo perché in questo caso si è andati oltre, e a nulla è valsa la rampicata sugli specchi di Signorini che ha paragonato queste immagini a quelle della giovane Francesca Pascale (attuale fidanzata di Berlusconi) che mangiava il calippo in spiaggia, alludendo a un trattamento diverso tra le donne di destra e quelle di sinistra. Un paragone forzato di chi non sa cosa rispondere e che va a pescare una Francesca Pascale che si esibiva davanti alla telecamera di Telecafone, consapevole di essere ripresa e quindi libera di fare quello che desiderava, come contraltare a una Marianna Madia che invece era in un momento privato ignara del paparazzo che la fotografava.

Ma per capire cosa è successo e perché siamo ancora qui a controbattere su questi argomenti, bisogna andare a vedere questo “oltre” che si regge su due punti precisi: da una parte chiedersi perché questi giornali vendono così tanto e perché l’esibizione dei fatti privati conditi da tette e culi di donne più o meno popolari (quest’estate le ministre erano spesso ritratte in costume o in topless con tanto di voti) appassiona i lettori e soprattutto le lettrici italiane; dall’altra è avere il coraggio di domandare perché se una ministra s’indigna per foto come queste (su cui è giustissimo reagire con forza), non s’infuria e non fa scattare questa stessa solidarietà quando la chiamano ministro, facendogli spuntare miracolosamente attributi maschili molto diversi dalla sua reale identità e sottoponendola a una violenza che mette in discussione la sua stessa persona. Non è forse altrettanto offensivo vedere scritto su un giornale d’informazione “alta” il “ministro incinta”? Qui non c’è l’allusione sessuale ma un affronto diretto all’identità della persona che in questo modo viene privata dell’unica cosa certa, e cioè del fatto che è una donna. Uno schiacciamento della persona nel ruolo che ricopre – che essendo un vertice può essere solo maschile e per questo appellato quindi solo al maschile – e che cancella una diversità che non essendo riconosciuta diventa strumento di oblio, di cancellazione del sé, di messa in discussione di un essere vivente solo ed esclusivamente in base al sesso. Un’operazione che sembra più “normale”, meno scandalosa, tanto che alcune donne rivendicano di essere chiamate direttore o ministro perché altrimenti credono di valere meno: come se la funzione coniugata al femminile fosse degradante e non all’altezza del ruolo per la donna che lo ricopre (e che si presume di passaggio).

La risposta quindi a entrambe le domande è una sola: la cultura che ancora oggi regola i rapporti uomo-donna e che riproduce esattamente una dinamica sbilanciata tra i sessi. Una cultura discriminatoria per le donne che se non viene messa in seria discussione fa scivolare l’indignazione in un moralismo ipocrita che non spazzerà via una volta per tutte quegli stereotipi su cui non solo campa “Chi” e tutte le riviste di gossip che vendono milioni di copie, ma su cui è basata tutta la nostra società e che ritrae a pennello lo squilibrato rapporto tra uomini e donne e fa fotografare una ministra, e non un ministro, che mangia il gelato con sotto il titolo “ci sa fare”. Un servizio, quello fatto da “Chi”, che in un contesto meno “squilibrato” non avrebbe avuto nessun senso fare e probabilmente non sarebbe stato fatto.

Ma il gelato che mangia Marianna Madia ha basi antiche e per questo ha un suo retrogusto amaro: nessuno s’indigna e apre fascicoli per le storie di donne buttate in pasto alla cronaca nera perché vittime di violenza e spesso trattate come fossero delle sciagurate con vite sregolate che in realtà se la sono cercata; o per le foto di minorenni sbattute sui giornali “che fanno le notizie” con il racconto di particolari anche intimi e con dettagli tali da svelarne l’identità che nulla a che fare con la notizia ma che mescola nella morbosità ricalcando quegli stessi stereotipi e con una esposizione gravissima dei soggetti che non solo manda in frantumi la deontologia ma infrange la legge.

Nessun richiamo all’Ordine dei giornalisti per questi signori, nessun procedimento disciplinare, nessuna solidarietà per tutte queste donne e queste ragazzine sbattute in prima pagina da giornali “per bene”. Eppure, per esprimere una vera solidarietà con la ministra Madia, bisognerebbe partire proprio da lì: dalla rappresentazione di tutte le donne nella nostra società e dagli stereotipi regolati da squilibrati rapporti di forza tra i sessi, e dall’immaginario che a tutto questo si richiama. Chi ha il potere di farlo, cominci a lavorarci sopra.


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