La giustizia così non va

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La riforma della giustizia, presentata dal Guardasigilli  Orlando, è in dirittura di arrivo. Il 29 agosto sarà approvata dal Consiglio dei ministri e quindi, per quanto riguarda il ramo civile, sarà emessa con un decreto dal governo Renzi che si riserva di preparare, e presentare alle Camere, appositi disegni di legge che completino la riforma complessiva che il governo di larghe intese, guidato dall’ex sindaco di Firenze. Del resto, non è un caso che l’ex sindaco toscano ha focalizzato i suoi messaggi elettronici sulla giustizia civile, non parlando né delle intercettazioni telefoniche né della responsabilità civile dei magistrati né del nuovo Consiglio Superiore della Magistratura. La verità è che – dati gli attuali termini di prescrizione approvati – siamo di fronte a una cifra record di procedimenti penali cancellati in corsa soprattutto per i reati dei colletti bianchi e degli amministratori pubblici. Nel 2012 in Italia sono stati dichiarati  prescritti centotredicimila procedimenti penali, il sette per cento di quelli già conclusi. Di questi  trentanovemila sono stati definiti durante il primo o il secondo grado del processo, con un evidente spreco di risorse di una macchina giudiziaria che da anni è ridotta all’osso. Inoltre il tredici e sette per cento dei processi, prescritti nel giudizio finale di legittimità, ha riguardato i reati contro la Pubblica Amministrazione nel periodo berlusconiano-alfaniano.  E vale la pena ricordare che, di fronte a un possibile adeguamento italiano dei termini di prescrizione al panorama europeo, Berlusconi minacciò addirittura Monti, in piena emergenza economica, di far cadere il governo se avesse osato farlo. Nulla peraltro è cambiato: anche questa volta, l’ex premier populista, che vede come il fumo negli occhi (in questo campo e il Nuovo centro-destra di Alfano è d’accordo con lui) tutti i tempi di scadenza dei reati. Eppure, in altri Stati che sono senza dubbio d’accordo con i nostri principi costituzionali di fondo, esistono meccanismi lineari che garantiscono, nello stesso tempo, il cittadino incriminato e il pubblico interesse di concludere un procedimento penale. A voler rendersi meglio della situazione europea, o almeno dei paesi più importanti, in Francia il termine per perseguire i reati più gravi è di dieci anni, ma “ può  essere interrotto da qualsiasi atto di istruzione e di azione giudiziaria” e ogni volta il cronometro torna a zero: la prescrizione arriva perciò dieci anni dopo l’ultimo intervento delle toghe. In Germania, il limite massimo, comprese le intercet-tazioni, arriva al doppio dei termini originari: se un reato non si cancella in un tempo di dieci anni, una volta avviata l’indagine, la giustizia ne ha a disposizione ben venti.

Nel regno Unito che include l’Inghilterra e i paesi che ne accettano l’ordinamento costituzionale e giudiziario, la prescrizione semplicemente non esiste. Limiti all’azione penale sono posti soltanto per i reati più lievi. Per i più gravi i limiti non ci sono ed è comunque il singolo giudice valuta ogni caso come se fosse un caso a sé, caso per caso. Nessun sistema in Europa è confrontabile con quel lo che c’è oggi in Italia dove la norma, approvata dal governo Berlusconi impone che per i non recidivi (che sono di fatto la maggioranza stragrande dei “colletti bianchi” e dei politici) non può, comunque, superare il tempo fissato dalla legge aumentabile di un quarto. Così anche  chi sa di essere colpevole tira il processo, sperando nel colpo di spugna, invece di accettare subito le pene più lievi garantite dai riti alternativi.  Alberto Vannucci che dirige il master in Analisi della criminalità  organizzata e della corruzione dell’Università di Pisa afferma : “ la nostra è un’anomalia assoluta ma non è piovuta dal cielo.” In sostanza, leggendo con attenzione i dati obbiettivi, si scopre che in Italia circa il dieci per cento degli inquisiti per corruzione sono prescritti mentre negli altri paesi dell’Unione europea non si va oltre il due per cento.


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