L’autorità assente

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Chissà. Forse era una pia illu­sione. Tut­ta­via, era lecito atten­dersi che la rela­zione annuale al par­la­mento dell’Autorità per le garan­zie nelle comu­ni­ca­zioni, tenuta dal pre­si­dente Car­dani nella mat­ti­nata di ieri davanti a Laura Bol­drini e nume­rosi ospiti, tenesse fede al carat­tere con­ver­gente imma­gi­nato dalla legge n. 249, che la isti­tuì nel 1997. Era lecito, insomma, avere dalla viva voce del mas­simo orga­ni­smo un giu­di­zio sullo «stato dell’unione»: sull’interazione tra tec­ni­che in evo­lu­zione e con­te­sto di frui­zione, «oltre il senso del luogo», per ripren­dere il felice volume di Mey­ro­witz (1985).
La rete, Inter­net sono evo­cati sotto spe­cie di rego­la­zione «2.0», vale a dire leggi o rego­la­menti in fieri: che dio ce ne scampi, vista la sto­ria del copy­right on line. Chec­ché ne dica l’elegiaca rifles­sione di Car­dani, lo scon­tento è assai dif­fuso. Ecco il para­dosso: lacci e lac­ciuoli lad­dove cre­scente dovrebbe essere l’autoregolamentazione respon­sa­bile e libe­ra­to­ria; una buona dose di las­si­smo nei mondi dove — invece — la con­cen­tra­zione dell’era ber­lu­sco­niana ha fatto morti e feriti, a comin­ciare dalla tele­vi­sione. Ecco, qui il rap­porto si segnala per le sue assenze: non un cenno al con­flitto di inte­ressi, nep­pure alla rico­gni­zione sulle posi­zioni domi­nanti, niente dati per­cen­tuali sulle pre­senze poli­ti­che in video nelle cam­pa­gne elet­to­rali. Anzi, la legge sulla par con­di­cio del 2000 viene con­si­de­rata di fatto supe­rata, men­tre si sor­vola sulla sua vio­la­zione molto fre­quente, rile­vata dalle stesse tabelle pub­bli­cate dal sito dell’Autorità.
Le assenze si regi­strano su vari altri capi­toli, dalla sorte di Tele­com, all’editoria in allarme rosso, all’emittenza locale ter­ri­bil­mente in crisi, al pesante digi­tal divide ita­liano. Alla sur­reale vicenda del deco­der che per­mette la rice­zione delle pay-tv, il quale in base alla legge n.78 del 1999 dovrebbe essere unico (?!). Del resto, la tv a paga­mento sta dive­nendo la pro­se­cu­zione «con altri mezzi» della sorella gene­ra­li­sta. Quella pri­vi­le­giata dagli e negli inve­sti­menti, come dimo­stra l’inquietante vicenda dei diritti del cal­cio. In sof­fitta la grot­te­sca sto­ria della gara delle fre­quenze digi­tali, finita con il cava­liere soli­ta­rio Cairo.
Inten­dia­moci. Ci si rife­ri­sce alla rela­zione letta e con­se­gnata nella ceri­mo­nia tenu­tasi alla Camera dei depu­tati, non alla ver­sione com­pleta, che certo è più com­pleta e merita let­ture approfondite.

Non si può sfug­gire, però, al senso di vaghezza e di rimo­zione che fuo­rie­sce dalla rela­zione tenu­tasi nell’annata di mag­giore dram­ma­ti­cità nel sistema dei media: tutti chi più e chi meno, fatti salvi i cosid­detti over the top (da Goo­gle in poi) sui quali l’Autorità nostrana ha poteri assai limi­tati. E, infatti, pro­prio il seme­stre a con­du­zione ita­liana dell’Unione euro­pea potrebbe essere l’occasione per ria­prire tanti dos­sier com­plessi e rognosi, sui quali una poli­tica in affanno e inde­bo­lita sta alzando ban­diera bianca. Una nor­male rou­tine, non il dove­roso senso del dramma, di cui forse vediamo solo i pro­le­go­meni. Nell’arco di un tempo breve, il pas­sag­gio all’all digi­tal pro­durrà nuove gerar­chie cul­tu­rali e sociali: due società dell’informazione, una povera e pre­ca­riz­zata, l’altra ricca e con lo scet­tro in mano. A meno che il governo della tran­si­zione aiuti a scom­porre e ricom­porre il qua­dro. L’Autorità a que­sto dovrebbe ser­vire. Nella visione del futuro e nella segna­la­zione delle linee gene­rali, non­ché nella forza pre­dit­tiva risiede l’identità pro­fonda di un ente che deve con­fe­rire scienza alle tecniche.

Fonte: Il Manifesto


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