Come rinasce l’impero persiano

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Il Levante oggi ricorda l’Europa degli Unni e dei Visigoti. Ma dietro questa straziante devastazione c’è una sola regia: quella che riporterà in vita l’impero persiano.
Ci sarebbe molto da dire sul novo Medio Oriente. Ma qui mi voglio fermare a come lo percepisco, quale dimensione mi sembra che abbia prevalso. Era il 2011 quando ampi settori delle società arabe chiesero di passare dall’epoca degli Stati Mafia a quella degli Stati di diritto. Non poteva esserci incubo peggiore per le petromonarchie del Golfo, costruite sul tribalismo e sulla privatizzazione dei proventi statali, e per le repubbliche bonapartiste, prodotte di golpe e dittature militari interminabili.

Entrambe per il loro lato, tanto le prime che le seconde hanno scatenato l’unico prodotto che hanno saputo creare in decenni di potere assoluto: gli apparati di repressione. Ma accanto a loro c’era un altro gigante che aveva altrettanti motivi per tremare: l’Iran. A differenza dei vicini e odiati despoti arabi, i despoti iraniani non sono scemi, e sono pure colti: conoscono ad esempio il significato di “divide et impera”.

Così loro non hanno reagito con violenza cieca, piuttosto hanno saputo cogliere l’occasione per distruggere gli stati, a cominciare dall’Iraq, che costituiva un tappo messo lì a impedire la loro espansione verso il Mediterraneo. “Siano petromonarchie siano repubbliche bonapartiste, facciamole saltare tutte, creiamo un sistema di potentati locali da affidare ai nostri affiliati, e ricreiamo le condizioni perché nei fatti l’Iran sia l’unico stato dominante su tutta l’area”: semplice ma geniale la loro idea.

La presenza degli sciiti diffusi in tutta l’area costituisce la base dell’operazione. La loro khomeinizzazione, a mezzo di infinite opere di finto o vero assistenzialismo che diventa significa una tribalizzazione e sussiadiarizzazione religiosa, ha consentito la loro trasformazione in ordinate falangi militari . Poi c’è l’intelligence: con le petromanarchie sunnite prese dalle convulsioni pre-mortem è stato facile volgere contro di loro l’arma dell’estremismo sunnita. E’ bastato perseguitarli ben bene i sunniti, con un’accurata politica genocida caduta nel silenzio del mondo, per poi incendiare il pagliaio qaidista. Anche a non voler dire che li abbiano proprio pilotati, oltre che finanziati, è certo che sapevano dove sarebbero arrivati. Avrebbero terrorizzato le altre minoranze, in modo da assicurarsi che i loro territori, nel disfacimento degli stati, sarebbero diventati preziosi isolotti da “proteggere” in cambio di un’ estensione del loro potere.

Così Teheran, le cui milizie di aguzzini (pasdaran, hezbollah, branchi iracheni e così via) non vengono mai associate al terrorismo grazie allo spettro del terrorismo sunnita, ed ecco che il gioco è quasi fatto.

Ora hanno ritirato fuori dal loro magico cilindro anche Hamas, tornata all’ovile khomeinista, per uccidere una volta per tutte Mahmoud Abbas e la sua illusione che gli arabi pacificandosi con Israele possano seguitare a esistere. Intanto la Siria e l’Iraq ricordano l’Europa degli unni e dei visigoti, dove gruppi di disperati, avanzi di galera, tagliagole, vagano senza leggi e senza limiti tra le macerie degli ex stati del Levante.

Devastano, saccheggiano, terrorizzano, rubano, razziano: perché solo così il mondo supplicherà Tehran di riportare l’ordine, la disciplina, in quello che si accinge ad essere il nuovo impero. E sarà un ordine ancor più feroce. Ma questo a chi interessa?


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