Querele. Giuliano Amato chiede 500mila euro al “Fatto Quotidiano”

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L’ex premier lamenta una campagna diffamatoria per sedici articoli che ne ricostruivano la carriera e ricordavano i suoi molti incarichi e la pensione d’oro

Il giudice della Corte Costituzionale ed ex capo del governo Giuliano Amato ha presentato una richiesta di risarcimento danni in sede civile di 500 mila euro nei confronti del Fatto Quotidiano: lo ha annunciato la stessa testata il 22 aprile.

Amato aveva già avvertito il quotidiano lo scorso autunno, quando i suoi legali avevano inviato al giornale una lettera (pubblicata dal Fatto il 1 ottobre), in cui lamentavano contro il loro assistito una campagna mediatica “basata su ricostruzioni talmente prive di ogni e qualsiasi connessione con i fatti a cui si vorrebbero riferire”, riferendosi alle critiche rivolte al politico in quel periodo, dopo la nomina a giudice costituzionale.

Il quotidiano aveva ricostruito in sedici articoli la carriera di Amato e le sue molte cariche istituzionali, ricordando anche alcuni episodi controversi.

La richiesta di risarcimento di Amato, scrive il Fatto Quotidiano, se accolta dai magistrati, “si configurerebbe come aggressione giudiziaria, la stessa già censurata dalla Corte di Strasburgo quando ha avvertito gli Stati europei che sanzioni pecuniarie sproporzionate e, quindi, anche risarcimenti ingenti possono avere un effetto deterrente sulla libertà di stampa e perciò comportano una pressoché automatica condanna da parte di Strasburgo”.

“Nominandosi giudice di se stesso”, continua l’articolo di Giorgio Meletti, “Amato pretenderebbe di vietare al Fatto di ricordare i suoi trascorsi economici, politici e non solo; la sua pensione d’oro e il vitalizio da parlamentare; la telefonata in cui insiste con il presidente del Monte dei Paschi Giuseppe Mussari perché continui a finanziare il torneo del circolo tennistico di Orbetello a lui caro (“mi vergogno a chiedertelo”); la telefonata alla vedova del defunto sottosegretario socialista Paolo Barsacchi, chiamata come teste, per consigliarle di tacere i nomi nel processo per tangenti dove alcuni esponenti del Psi, di cui è all’epoca vicesegretario, avrebbero voluto dare la colpa al marito morto”.

MF

Da ossibenoinformazione.it

L’ex premier lamenta una campagna diffamatoria per sedici articoli che ne ricostruivano la carriera e ricordavano i suoi molti incarichi e la pensione d’oro

Il giudice della Corte Costituzionale ed ex capo del governo Giuliano Amato ha presentato una richiesta di risarcimento danni in sede civile di 500 mila euro nei confronti del Fatto Quotidiano: lo ha annunciato la stessa testata il 22 aprile.

Amato aveva già avvertito il quotidiano lo scorso autunno, quando i suoi legali avevano inviato al giornale una lettera (pubblicata dal Fatto il 1 ottobre), in cui lamentavano contro il loro assistito una campagna mediatica “basata su ricostruzioni talmente prive di ogni e qualsiasi connessione con i fatti a cui si vorrebbero riferire”, riferendosi alle critiche rivolte al politico in quel periodo, dopo la nomina a giudice costituzionale.

Il quotidiano aveva ricostruito in sedici articoli la carriera di Amato e le sue molte cariche istituzionali, ricordando anche alcuni episodi controversi.

La richiesta di risarcimento di Amato, scrive il Fatto Quotidiano, se accolta dai magistrati, “si configurerebbe come aggressione giudiziaria, la stessa già censurata dalla Corte di Strasburgo quando ha avvertito gli Stati europei che sanzioni pecuniarie sproporzionate e, quindi, anche risarcimenti ingenti possono avere un effetto deterrente sulla libertà di stampa e perciò comportano una pressoché automatica condanna da parte di Strasburgo”.

“Nominandosi giudice di se stesso”, continua l’articolo di Giorgio Meletti, “Amato pretenderebbe di vietare al Fatto di ricordare i suoi trascorsi economici, politici e non solo; la sua pensione d’oro e il vitalizio da parlamentare; la telefonata in cui insiste con il presidente del Monte dei Paschi Giuseppe Mussari perché continui a finanziare il torneo del circolo tennistico di Orbetello a lui caro (“mi vergogno a chiedertelo”); la telefonata alla vedova del defunto sottosegretario socialista Paolo Barsacchi, chiamata come teste, per consigliarle di tacere i nomi nel processo per tangenti dove alcuni esponenti del Psi, di cui è all’epoca vicesegretario, avrebbero voluto dare la colpa al marito morto”.

MF

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