Stefano Cucchi, morto quattro anni fa mentre era nelle mani dello Stato

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Stefano Cucchi è un “morto di fame”, ha scritto la giustizia nella sentenza di primo grado. E’ morto quattro anni fa mentre era nelle mani dello Stato, in consegna allo Stato dopo aver commesso un reato:  possesso di 21 grammi di hashish e farmaci antiepilettici. Stefano Cucchi è stato riconsegnato ai familiari senza vita una settimana dopo l’arresto e il ricovero all’ospedale Sandro Pertini di Roma. I parenti sono stati informati del decesso attraverso la notifica della richiesta di autopsia.   Lividi, fratture e ferite al volto, alle gambe, all’addome e al torace non sono stati considerati come cause di morte, ovvero di omicidio. Gli agenti di polizia penitenziaria  sono stati assolti,  Stefano Cucchi è morto di malnutrizione,  scrivono i giudici nelle 188 pagine delle motivazioni della sentenza che ha condannato invece per

per omicidio colposo il primario Aldo Fierro e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo e Rosita Caponetti (per il solo reato di falso ideologico), e assolti gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe.

”Non sono  convincenti – a parere della Corte – le conclusioni dei consulenti delle parti civili secondo cui il decesso si sarebbe verificato a causa delle lesioni vertebrali”.
Per i giudici Stefano è stato vittima  delle condotte dei medici ”contrassegnate da imperizia, imprudenza e negligenza sia per la omissione della corretta diagnosi, sia per avere sottovalutato il negativo evolversi delle condizioni del paziente che avrebbero richiesto il suo urgente trasferimento presso un reparto più idoneo”.
Quanto alle condotte dei militari che lo arrestarono, la Corte ammette che sia “legittimo il dubbio che Stefano Cucchi, arrestato con gli occhi lividi e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri”, ancora prima di essere consegnato la mattina del 16 ottobre 2009 agli agenti di polizia penitenziaria che lo portarono nelle celle sotterranee del tribunale di Roma in attesa della convalida del suo arresto per droga.
“Stefano  è morto di ingiustizia. E nei successivi gradi di giudizio si cercherà di dimostrarlo”, ha commentato la sorella Ilaria Cucchi

Oggi quarto anniversario Ilaria ricorda così le ultime ore di vita del fratello:

“Intorno a quest’ora arriva a casa mia la telefonata della volontaria di Don Spriano.  Qualche ora prima Stefano aveva chiesto di parlare con lei. Quando era già nel punto di non ritorno le aveva dato il mio numero di telefono. Stefano non poteva immaginare che ogni santo giorno di quel suo lungo calvario i miei genitori erano fuori da quella porta, a chiedere notizie di lui nell’attesa di quel maledetto permesso per poterlo vedere. Stefano sapeva che stava morendo. Medici e infermieri, mentre gli somministravano dosi da cavallo di antidolorifico, devo dedurre dal loro cadere dalle nuvole, senza sapere perché, a quanto pare no.
A quella donna aveva chiesto anche una Bibbia. Stefano sapeva che stava morendo da solo. Come un cane. Cercava un contatto con l’esterno. Visto che ogni sua richiesta era caduta nel vuoto. Poche ore dopo tentò anche un’altra strada. Scrisse al C.E.I.S. . Io l’ho avuta tra le mani quella lettera, a distanza di tempo, e sopra ci ho letto tutto il dolore di mio fratello. Una disperata richiesta di aiuto. Arrivata a destinazione troppo tardi.
La mattina all’alba Stefano è morto. E né a noi, né al C.E.I.S., né a nessun altro è stato dato modo di farci niente.
Pazienza. Infondo era solo un detenuto, processato come ‘albanese senza fissa dimora’.
E inoltre era rompiscatole.
Cafone ed arrogante.
Come giustamente ha tenuto a precisare il mio pubblico ministero durante la sua arringa.
Cos’altro dire?”


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