Kociss

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E’ un libro che fa scoprire una Venezia diversa, fatta di miseria e povertà, di grandi gesti di solidarietà tra una umanità dolente quotidianamente in guerra con la fame, quella vera. Non parliamo di epoche “giurassiche”, di secoli passati ma di Venezia ancora fotografata alla fine degli anni settanta, insomma già con il turismo di massa imperante e capitale della cultura. Eppure “Kociss” di Roberto Bianchin e Giovanni Dell’Olivo (Milieu editore, euro 16,50) squarcia il velo su una città dove sotto la sazia indolenza covano le ceneri della ribellione. Per certi aspetti molto simile a Napoli dove il ricco e l’aristocratico vivevano ai piani alti dei palazzi che a livello stradale ospitavano i “bassi”, ovvero quelli che una volta erano stalle o depositi, e che da secoli continuano ad ospitare chi non ha i soldi per permettersi un alloggio decente e degno di questo nome. Così come a Napoli il ricco era partecipe delle vicende del povero per questa convivenza “geografica”, così scopriamo che anche Venezia aveva caratteri simili. Quello che oggi è dato in pasto a turisti superficialmente curiosi(i quartieri popolari espropriati dalla speculazione) ieri (meno di 30 anni fa) costituiva l’ossatura sociale della città.

“Kociss” non è un trattato sociologico né un saggio sui mutamenti sociali. E’ la storia di Silvano Maistrelli, un ladro e rapinatore chiamato Kociss per la faccia da Apache, nato e cresciuto nel sestiere Castello, il quartiere più povero di Venezia, ucciso a 30 anni il 12 maggio 1978 dalla polizia mentre scappava dopo una rapina. Infanzia dickensiana, primo di nove figli avuti dalla madre da uomini diversi, dove la sera ognuno si copriva con la fame dell’altro per ripararsi dal freddo. Alcolismo in famiglia, violenza e sopraffazione come compagni di gioco, a Kociss non restò che dedicarsi al furto per aiutare la numerosa famiglia. Ma con un suo stile, senza mai uccidere nessuno, 17 evasioni collezionate da riformatori e carceri. E la fama di Robin Hood , ovvero di ladro che toglieva ai ricchi per dare ai poveri, con una infarinatura politica che in quegli anni lo portarono molto vicino alle posizioni delle Brigate Rosse e affini.

Leggendo la sua storia ho trovato molte affinità con esponenti della piccola delinquenza e marginalità napoletane che proprio negli stessi anni diedero vita ai Nap, i Nuclei Armati Proletari, la formazione combattente che nel capoluogo partenopeo (e non solo) si rese protagonista di rapine, rapimenti, azioni dimostrative con l’intento di saldare le lotte del sottoproletariato e dei detenuti comuni con quelle di una avanguardia studentesca per una impossibile rivoluzione. Storie analoghe a quella di “Kociss” si rintracciano nel bel libro di Valerio Lucarelli “Vorrei che il futuro fosse oggi” (L’ancora del mediterraneo) dove è ripercorsa la storia dei Nap grazie alle testimonianze dei reduci.

Maistrelli fu ucciso 3 giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro e forse la deflagrazione mediatica di questo avvenimento ne oscurò l’adeguato spazio di approfondimento che avrebbe meritato, anche per meglio capire il radicamento dei duri delle Brigate Rosse in Veneto e della mala del Brenta che in pochi anni avrebbe fatto tremare l’Italia per l’efferatezza dei suoi crimini, non inferiori a quelli di mafia e camorra, che nei primi anni ottanta diede vita in Campania ad una delle più sanguinose guerre criminali. Il libro di Bianchin e Dell’Olivo offre spunti interessanti anche per capire le modalità della morte di Kociss, ucciso come poi accertato non nel corso di una sparatoria.


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