Diario di una politica suicida: dopo il tecnico-professore e il comico-guru, cosa ci aspetta?

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Ci sono libri di “fatti”, e ci sono libri di “cose”. I libri di “fatti” sono quelli che descrivono gli eventi, ne raccontano le fasi più caratterizzanti e significativi. I libri di “cose” provano a spiegare l’accaduto, azzardano interpretazioni, ne spremono il succo e ne ricavano qualche morale.

Preambolo necessario per cercare di spiegare la peculiarità e l’interesse per un paio di volumi, Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni, edizione 2013 a cura di Aldo Di Virgilio e Claudio M. Radaelli (Il Mulino, pagg.350, 27 euro); e Dal suicidio della politica al grillismo, di Rodolfo Ruocco (Cuec edizioni, pagg.256, 12 euro).

Sia il volume curato da Di Virgilio e Radaelli, sia il libro di Rucco sono libri di “fatti” e di “cose”. Cominciamo dal primo. I due curatori sono studiosi della politica: il primo Di Virgilio, insegna all’università di Bologna, tra le sue pubblicazioni i saggi (con S. Reed e con J. Kato) nel volume A Natural Experiment on Electoral Law Reform: Evaluating the Long Run Consequences of 1990s Electoral Reform in Italy and Japan (a cura di D. Giannetti e B. Grofman, Springer, 2011) e I delegati congressuali di partito («Polis», 2/2011, special issue curata con P. Bordandini e R. Mulé); Radaelli insegna Scienze politiche alla britannica università di Exeter, dove dirige il polo di eccellenza Jean Monnet Centre for European Governance. Condirettore della rivista European Journal of Political Research, ha pubblicato Designing Research in the Social Sciences (Sage, 2012) con M. Maggetti e F. Gilardi e curato con T. Exadaktylos Research Design in European Studies: Establishing Causality in Europeanization (Palgrave, 2012).

Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni è ormai quello che si può definire un must per Il Mulino e la collegata “Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo”. Siamo infatti arrivati alla ventottesima edizione, veri e propri “rapporti” sull’Italia e il suo stato di salute, di volta in volta redatti da esperti e osservatori chiamati a raccontare i “fatti” e spiegare le “cose”. Nell’“impresa” 2013 si cimentano Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella, Rinaldi Vignati, Anna Cento Bull, Gianfranco Pasquino, Marco Valbruzzi, Daniela Giannetti, Andrea Pedrazzani, Luca Punto, Francesco Stolfi, Chiara Goretti, Luca Rizzuto, Stefano Sacchi, Liborio Mattina, Alberto Melloni, Lorenzo Mosca, Valentina Sartori. Si tratta in particolare di dodici saggi più un’appendice documentaria, che un’acuta e stimolante introduzione dei due curatori lega e amalgama. Perché certo non è facile dare un senso compiuto e individuare ragioni e cause di un anno come quello che ci siamo lasciati alle spalle: un anno che ha visto il crollo della Seconda Repubblica italiana (o forse si dovrebbe dire: della Prima Repubblica, secondo tempo?), il declino di partiti tradizionali come fino a ieri venivano intesi, il tramonto di leader creduti inossidabili, e la nascita di fenomeni terremotanti come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio; ma anche le dimissioni di un pontefice, che diventa emerito, e ora “convive” con un altro che più anomalo non si potrebbe; l’evoluzione, nei fatti, di un sistema politico-istituzionale anch’esso sconvolto da profondi movimenti tellurici: si pensi, per esempio, alla nascita del Governo Monti, nominato dal presidente della Repubblica Napolitano senatore a vita, per poter poi guidare un governo di emergenza; una fase caratterizzata da un incisivo ed esplicito interventismo del Quirinale chiamato a coprire vuoti e lacune lasciati dalla “politica”, cosicché dal governo del Presidente, progressivamente si è passati al Presidente di governo.

Di Virgilio e Radaelli ben individuano l’ineluttabilità di questa fase (dalla quale non siamo usciti, anche se gli attori in scena sono mutati), ma ne scorgono e descrivono anche limiti e carenze: “Per legittimare politiche ‘lacrime e sangue’, l’esecutivo ha adottato un discorso pubblico i cui principali ingredienti sono stati l’intento pedagogico, l’appello alla dignità e all’interesse nazionale, l’enfasi sull’autorevolezza di un decisore tecnico che si è presentato come il migliore dell’interesse generale”. Lodevole intento; peccato che sia stato gravato da “eccessiva enfasi sulla tassazione” (pag.45), cedimento a lobby consolidate e accurata esclusione di questioni che potevano creare fratture nell’ambito della coalizione come i nuovi diritti civili (pag.46); giustamente si osserva che neppure le sollecitazioni rivolte dal presidente Napolitano sono per esempio riuscite a “promuovere un intervento di governo e Parlamento sulla questione carceraria e analoga sorte ha avuto il protratto sciopero della fame e della sete intrapreso in dicembre dal leader del Partito Radicale Marco Pannella” (pag.47). Un fallimento crudamente e lucidamente descritto da Daniela Giannetti: “Due dei principali obiettivi dell’agenda Monti, il rilancio della crescita e i tagli ai costi dalla politica, non  sono stati compiutamente realizzati. Le misure di rigore fiscale hanno avuto vasti effetti recessivi e il rapporto debito PIL non si è ridotto nel corso del 2012…è cresciuta la pressione fiscale (46%) con l’aumento dell’IVA sui consumi e con l’introduzione dell’IMU. La disoccupazione è salita dell’11%, con la disoccupazione giovanile al 36,5%…”(pag.149). Il tutto condito da un’arroganza tipica del “tecnocrate-so-tutto-io”. Stefano Sacchi, per esempio, ha buon gioco nel rilevare che “Più che tavoli di concertazione il ministro del Lavoro Fornero sembrava avere in mente seminari accademici. Indisponendo le parti sociali, il ministro e i suoi collaboratori si presentavano agli incontri tecnici leggendo delle note, senza farle circolare. In generale, l’impostazione del ministro e del governo è stata quella di considerare le parti sociali come corresponsabili della grave situazione del paese, e come tali legittimate a interloquire, ma non a interdire ”(pag.224). E fosse questo solo! Di Virgilio e Radaelli infatti concludono pessimisti: “Chiusa l’esperienza del governo tecnocratico, non sono esclusi scenari caratterizzati da stallo politico e incapacità decisionale e ciò potrebbe far ripiombare il paese alle drammatiche settimane che nell’autunno 2011 precedettero l’arrivo al governo del podestà forestiero”.

Il libro di Ruocco, ora, che si presenta come “diario di una crisi dove un premier tecnico e un comico hanno azzerato i partiti”. Rucco segue le vicende politiche italiane da almeno trent’anni, prima come cronista della carta stampata, poi come giornalista televisivo.

In questo Caput Monti, Ruocco utilizza una felice formula già utilizzata per il suo precedente Rubysconi. I giorni che sconvolsero l’Italia: l’artificio del “diario” dall’interno del Palazzo; ma non indulge, come molti dei suoi colleghi, nel pettegolezzo e nella cronaca divertente (che poi sia di effettivo interesse, è altro discorso). “Semplicemente” Ruocco offre una cronaca dettagliata e minuziosa, come la può offrire un osservatore che si trovi a sostare ai bordi del campo da gioco, e quindi goda di una prospettiva e di una visuale privilegiata rispetto a tutti gli altri assiepati in tribuna. E così sotto i nostri occhi, grazie alle parole e agli “appunti” redatti da Ruocco, di volta in volta scorre il cosiddetto “Partito del Loden”, e con lui il suo opposto, il comico che al pari del poeta Tosco, “d’ognun disse mal, fuorché di Cristo/ scusandosi col dir: “Non lo conosco”.

E’ tutto sommato facile raccontare storie inventate, come se fossero vere; più arduo raccontarne di vere che sembrano inventate. Ha ragione Ruocco a dire che Caput Monti è “la cronaca di una vicenda politica al limite del fantapolitico.  Vicenda  in cui si mescolano e si confondono la caduta di Silvio Berlusconi e il peso delle lobby internazionali, l’invenzione dell’esecutivo tecnico di Mario Monti, il boom dell’ex comico Beppe Grillo alle elezioni politiche del 2013, il governo di larghe intese affidato ad Enrico Letta”. La velocità di questa veridica storia che sembra uscita dalla miglior penna di un fantasioso cronista, è quella delle comiche di inizio ‘900, quelle per intenderci, alla Larry Semon o Ben Turpin: perché in una manciata di giorni Berlusconi sloggia da Palazzo Chigi, un professore dalla presidenza dell’Università Bocconi si trova nominato senatore a vita, poi sbalzato alla presidenza del Consiglio…Un blitz la cui regia è curata dal Quirinale e che è giustificato con “l’urgenza di risanare i conti pubblici” di un Paese sull’orlo della bancarotta.  Ma, osserva anche Ruocco, “il rigore montiano colpisce le fasce più deboli e impoverisce il Paese. E così, quando il Professore decide di “salire in politica” per sottoporsi al voto degli italiani con la lista di Scelta Civica, mette a segno un gigantesco flop elettorale”. Il “fatto”, la “cosa”.

Caput Monti è, anche la storia e la spiegazione dell’incapacità dei partiti di rispondere ai gravi problemi del Paese; cosicché il vuoto è colmato dal “governo del Presidente”: prima l’esecutivo “tecnico” (ma quanto mai politico!) di Monti; poi quello ritenuto da tutti fragile e per questo di poca durata (ma si sa: i gracili spesso vivono a lungo) di Enrico Letta.

Sembra di rivedere la guerra di Troia”, annota Ruocco. “Alla fine, Agamennone, grazie ad Achille ed Ulisse, salva i greci e distrugge Troia. Nel nostro caso, chi sono Achille e Ulisse? Chi è Ettore? E soprattutto, chi è Agamennone?”. Bella domanda. E dire, per restare alla metafora, che non c’è neppure una bella Elena, a giustificare il tutto. I Tersite, in compenso, abbondano.


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