E se il parlamento rifiutasse il bavaglio?

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Francamente non capisco tutto questo casino per il ritorno alla carica dei berluscones sulle intercettazioni e sul bavaglio alla stampa, come propone l’avvocato Costa di Cuneo-Mondovì (da Giolitti a Costa jr) e che l’amico di Previti magistrato Nitto Palma, contestatissimo presidente della commissione giustizia della camera, si dice prontissimo (e chi ne dubitava?) a iscrivere all’ordine del giorno. Giusto i desiderata del capo e col velame di Gorgo, quello che per D’Annunzio rendeva più nuda la nuda dea che l’indossava, costituito dal testo dei”saggi” del Quirinale. Che  auspica migliore definizione di strumenti invasivi d’indagine, come le intercettazioni, che debbono restare mezzo di ricerca della prova e non di ricerca del reato, e limitarne la divulgazione per “non ledere i diritti fondamentali della persona”. Come facciamo invece noi giornalisti quando, ogni mattina, scriviamo articoli che possono disturbare i conducenti.

Non capisco il fracasso, dicevo, perché se Pd, Sel e 5 Stelle sono contrari al vecchio schema Alfano, oggi proposta di legge Costa, o comunque non lo ritengono prioritario, non c’è maggioranza né in commissione  né in aula: e quindi il problema non esiste. A meno che non ricompaiano i famigerati franchi tiratori, nel qual caso la Federazione della stampa proclamerebbe lo sciopero generale dell’informazione ancor prima che i magistrati quello dei tribunali. In più, la stravagante iniziativa della destra, che è la destra di sempre, complica all’inverosimile la vita del governo Letta, che è nato per l’emergenza dei bisogni e invece si trasformerebbe in mediatore tra fazioni in lotta per le cose di sempre: visto che, se il Pd può chiedere le catenelle per la polizia giudiziaria e il bavaglio per i giornali, non si vede cosa dovrebbe aspettare il Pd a riproporre il conflitto d’interessi, il falso in bilancio e l’ineleggibilità. Tutte cose a cui i democratici non hanno mai rinunciato.

Che il Pdl sia il nuovo partito di lotta e di governo lo sapevamo dal primo giorno e lo ha confermato a Brescia, con gli attacchi alla Boldrini e gli sberleffi alla Kyenge: tutte cortine fumogene come quelle che si lanciano in battaglia per preparare l’attacco. L’attacco era alla giustizia. Come dice Casson, senza le intercettazioni non sapremmo niente del bunga bunga, del Monte dei Paschi, dell’Ilva (e, aggiungiamo, di Cosa nostra, di Lavitola, ecc.). Certo, c’è stato chi esagera nel divulgare e chi nel pubblicare: non peraltro l’Italia non è mai stato un paese liberale, neanche quando i conservatori si definivano con quel nome e governavano il paese. Tuttavia, non si capisce perché la “migliore definizione” di certi strumenti d’indagine e della relativa popolazione non siano stati non dico preceduti ma almeno accompagnati da una “migliore definizione” dei doveri e dei diritti dell’informazione, per esempio in rapporto alle “querele temerarie”, che solo in Italia possono chiudere la bocca ai giornalisti. All’estero invece no, specie nel mondo anglosassone, dove chi querela deve depositare una somma pari a quella che richiede al querelato, e in caso di sconfitta giudiziaria la querela diventa un boomerang. E’ una legge che vorremmo anche in Italia, e che, in rapporto ai tentativi di imbavagliare la Gabanelli,  abbiamo chiesto alla Boldrini di voler sollecitare Montecitorio a fare il suo dovere. E cosa aspetta la ministra Cancellieri mentre la loquace Unione delle camere penali non la smette con le sue querule richieste a favore dei potentati che difende?

Spero che il 24 maggio, chiudendo la campagna per le amministrative a San Giovanni (a san Giovanni, non all’Ambra Jovinelli), Marino, Epifani, Zingaretti e i capigruppo parlamentari del Pd  mettano la parola fine a questa storia. Le mine che la destra pone sotto il governo Letta per tornare alle elezioni in autunno non si scansano, si fanno brillare subito.


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