Film italiani, il pasticcio quote ultimo regalo a Mediaset

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Il ‘berlusconismo’ non è affatto finito. Un caso di scuola è stata l’approvazione, con una risicatissima maggioranza, nella commissione cultura del Senato dello schema di decreto ministeriale sulla riserva di quote –nella produzione e nella programmazione delle emittenti televisive- di opere cinematografiche di ‘espressione originale italiana’.

Si tratta di una specificazione importante e delicata della normativa delle quote obbligatorie, previste queste ultime dalla vecchia direttiva europea ‘Tv senza frontiere’ del 1989 e diventate legge in Italia con la l.122 del 1998, una delle riforme più significative dell’allora centrosinistra al governo. Il quadro giuridico fu poi ridefinito dal Testo Unico del 2005, il cui articolo 44 troverebbe applicazione nel regolamento varato dal governo.
Il testo proposto dall’esecutivo poteva essere licenziato con l’inserimento del settore audiovisivo accanto al cinema, con una raccomandazione da recepire in una riforma finalmente organica che dovrà costituire uno dei principali impegni del prossimo governo ,augurabilmente presieduto da Bersani. In cui indubbiamente avremo un vero ministro per le attività culturali, cui andrebbero delegate anche le funzioni oggi impropriamente allocate presso il ministero dello sviluppo. Ecco, quel testo, discusso con le associazioni delle diverse categorie interessate, doveva essere varato, dopo tanta attesa. Purtroppo si è determinato il ‘fattaccio’ nella commissione del Senato: su verosimile pressione di Mediaset ( capofila di un lobbismo più vasto, con Sky e forse la Rai coinvolte), il parere votato da Pdl e Lega abbassa la quota percentuale per lo produzione e ‘gradualizza’ l’entrata in vigore del tutto. Assurdo. Si tratta di cifre rappresentative di equilibri complessi e di scelte arate da lunghi confronti. La gradualità evocata nel parere è persino grottesca, in un paese che ha vissuto una vera e propria marginalità nell’evoluzione cross- mediale del sistema proprio a causa dei continui rinvii di leggi, regolamenti e soprattutto della loro attuazione. Un regalo a Mediaset e alle pigre televisioni, che non vogliono produrre e diffondere le opere italiane, pur essendo i film e le fiction decisivi per reggere la stessa audience. Godard soffrirà, lui che ottimisticamente parlava di ‘quella parte di cinema chiamata televisione’. Dopo la citata legge 122 la produzione aveva avuto un balzo rilevantissimo, poi calata per manifesto opportunismo delle tv, legate ad uno schema del tutto riduttivo di palinsesto, infarcito di ‘pacchetti’ a basso costo. E neppure l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha dato buona prova di sé nella vigilanza sull’attuazione della legge, che dovrebbe trovare un importante punto di evoluzione con il decreto in questione, ma senza i peggioramenti votati a maggioranza da una commissione parlamentare convocata a poche giornate dal voto. Tra l’altro, l’omologa istituzione della Camera dei deputati non si è mai riunita. Quindi, non c’è stata la conclusione della prevista procedura per i pareri ed è discutibile che il governo –laddove voglia procedere ugualmente- possa tener conto di un solo parere votato da una maggioranza che tale non sarà più tra qualche giorno. E’ credibile? Perché tutto questo? Quale potere di influenza continua ad avere Mediaset? Non è accettabile. E sarebbe persino grottesco oltre che grave se ciò dovesse avvenire.

PS. Qualcosa di simile starebbe avvenendo sul contratto di servizio tra lo Stato e la Rai, materiale assai delicato visto che viene ad introdurre la prossima nuova Convenzione che regolerà il futuro del servizio pubblico. Assurdo e persino ‘provocatorio’ rispetto al ruolo assegnato per la normale amministrazione al governo dimissionario e in procinto di lasciare. Davvero il tema è all’ordine del giorno del prossimo consiglio previsto per mercoledì 20 febbraio? Il ministro Passera, che in tal caso rappresenterebbe il governo, spieghi perché simile fretta sospetta, mentre ancora attende l’asta delle frequenze televisive digitali.

* da “l’Unità”


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