L’indifferenza degli italiani
e il metodo nella follia

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C’è del metodo in quella follia del Cavaliere, che nel giorno della Memoria ricorda le “molte cose buone” fatte da Mussolini prima delle leggi razziali. E c’è la responsabilità personale di milioni di italiani, che con l’ indifferenza lo incoraggiano a perseverare. Anzi, ci si scaldano, se ne alimentano, si sentono vivi nella continuità “storica”, che l’opportunismo consiglia di tenere sotto la cenere. Forse la verità è che, fin dall’inizio delle repubblica, le nostre scelte moderate e democratiche  hanno espresso consenso non per i più vicini ma per i meno lontani. Berlusconi ha sempre interpretato questa psicologia popolare, anche quando diceva che Mussolini “non ha mai ammazzato nessuno”: e ha continuato a rastrellare i voti degli eredi “socialisti” di Matteotti, degli eredi “liberali” di Gobetti. degli eredi “cattolici” di don Minzoni. Perfino qualcuno dei pochi superstiti della comunità ebraica italiana ha mostrato benevolenza per la destra, e perfino nel giorno della Memoria qualche suo esponente ha accompagnato il non invitato Berlusconi al Memoriale della Shoah. Segni di quella”banalità del male” che ci fa sordi al passato e complici del presente.

Ieri i giornali hanno scatenato storici e penne brillanti a caccia di “errori” nelle opinioni del Cavaliere. Pochi hanno rilevato che, a parte il  ventennio berlusconiano, che non ha fatto nulla, nascondendosi dietro l’impotenza costituzionale del capo del governo, non è mai esistito in Italia regime che in vent’anni non abbia fatto”anche cose buone”. A De Gasperi ne bastò meno della metà (1946-1953) per farne tante da ricostruire e lanciare nel futuro il Paese distrutto dalla guerra mussoliniana.

Alla Destra Storica dei liberali bastarono 15 anni (1861-1876) per costruire un paese inesistente: abbattere barriere di sei o sette stati facendo della penisola un unico spazio economico, unificare la moneta, creare l’esercito e la marina militare, unificare l’amministrazione del regno, fare nuovi codici, rendere obbligatoria per tutti l’istruzione elementare, realizzare la “cura del ferro”  da Torino a Lecce, trasformare piste in strade nazionali più lunghe delle consolari romane, espandere Roma (anche imbruttendola) con enormi quartieri fuori le mura, mettere in vendita i beni demaniali  degli ex stati e liberare l’Italia e la Chiesa dall’ “asse ecclesiastico”, fra cui un milione di ettari, ereditati dai privilegi feudali. (Poi Mussolini nel 1929 li rimborsò, spremendo dalle tasche degli italiani un miliardo di lire di allora). Eccetera, fino alle riforme sociali e civili del ventennio giolittiano, a cominciare da quelle del lavoro.

Mussolini ha continuato in alcuni solchi già scavati, prendendosi in cambio la libertà degli italiani. Bene poco apprezzato in un paese dove, Comuni ed età comunale a parte, non  era mai stato conosciuto. Berlusconi dunque è il ventriloquo del  paese, che invece avrebbe dovuto educare. Minoranze a parte, l’Italia è rimasta così il paese del “consenso” (De Felice) e della “zona grigia” (Romano) quando, negli anni di Salò e della guerra civile, stette alla finestra ad aspettare il vincitore per un applauso opportunistico. Così, a causa anche di un estremismo di sinistra duro a morire, siamo arrivati a CasaPound e a Forza  Nuova, non per le “cose buone” di Mussolini, ma per le peggiori, razzismo in testa.

I sette poundiani arrestati a Napoli avevano fra i loro progetti lo stupro di una studentessa ebrea; il messaggio filofascista di Grillo precede di qualche giorno le balorde parole di Berlusconi, forse irritato dalla concorrenza e anelante a tutta l’eredità elettorale della zona grigia e di quella nera. Una gara tra stercorari per appallottolare voti e seggi, mentre a Roma le sirene di Storace circuiscono perfino leader radicali ma non si fanno contagiare dal loro libertarismo perché vogliono un consiglio regionale di soli fascisti duri e puri. Bisogna che i partiti democratici, Pd in testa, lo ricordino ogni giorno; e denuncino l’indifferenza della “gente per bene”. Come ci ammoniva dal Tg2 la signora sopravvissuta ad Auschwitz: “Sui vostri monumenti alla Schoah non scrivete violenza, razzismo, dittatura e altre parole ovvie, scrivete ‘indifferenza’: perché nei giorni in cui ci rastrellarono, più che la violenza delle Ss e dei loro aguzzini fascisti, furono le finestre socchiuse del quartiere, i silenzi di chi avrebbe potuto gridare anziché origliare dalle porte, a ucciderci prima del campo di sterminio”.


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