Quel filo rosso sangue che unisce Brindisi all’Emilia

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Anche stavolta la retorica non s’è limitata a trasformare in “angeli” le ragazze di Brindisi uccise o dilaniate dalle bombole a gas di un pazzo o di una cosca; ma addirittura a definire “fatalità prevedibili” il terremoto che ha devastato le terre fragili e gentili dell’Emilia orientale. E ancora una volta la retorica, che per millecinquecento anni ha consolato l’Italia del suo destino di servitù e di piaghe (ed è continuata anche dopo, fino alle catastrofi del Novecento, queste sì prevedibili), ha fatto perdere di vista a giornali e tv l’unico filo rosso sangue che unisce Brindisi a Finale Emilia: la mancata prevenzione. Nella penisola anarchica “prevenzione” è la parola più odiata, perché significa regola, osservanza dei limiti, riduzione del porco comodo proprio, che è il credo di molti forse troppi  italiani.

Nella mia lunga vita di giornalista ho visto quel filo rosso sangue tessere l’ordito: niente allarmi preventivi, piazza Fontana e palazzi di cartapesta dell’Irpinia, diga del Vajont e  bambini schiacciati dalla scuola a San Giuliano, guerra di mafia, camorra, ndrangheta e stragi di magistrati, amministratori, politici, inferiore forse solo a quella del terrorismo (che da noi è durato 15 anni, e negli altri paesi liquidato in breve tempo); e plastico dell’Italicus e Bologna devastazioni di Genova dieci anni dopo la “macelleria messicana”, la distruzione di L’Aquila e quella doppia del Belice (terremoto ed esibizionismo artistico di una ricostruzione teatrale, che non interessa nessuno: men che meno le famiglie disastrate).

Quel filo rosso, ripeto, si chiama mancata prevenzione di polizia, il cui intervento è quasi sempre successivo ai fatti; mancata politica del territorio e nessun freno alle opere non necessarie, edilizia di rapina che consente l’abusivismo dei poveri e l’arricchimento dei palazzinari: formicaio che divora l’albero gentile e fragile della penisola e lo fa crollare giorno dopo giorno, montagne, coste e ora anche pianura.

Quattromila e non più di quattromila saranno i soldati chiamati a presidiare il territorio, ha promesso il ministro Cancellieri, dopo la gambizzazione di Adinolfi all’Ansaldo e lo scempio di Melissa e delle sue compagne davanti alla scuola che porta il nome di una delle tante martiri della fede nello Stato, Laura Morvillo Falcone, massacrata a Capaci insieme al marito Giovanni. E io mi domando: perché non più di quattromila? Spero che un governo di tecnici (la ministra ha fatto l’intera vita nell’amministrazione dell’Interno) non si lasci intimidire dalle cialtronerie tipo “no alla militarizzazione del paese”, da lasciare ai complessi pavloviani dell’idiozia politico-sociologica: una pseudocultura che è fra i massimi responsabili della debolezza dello Stato, spacciata per democrazia.

Da quella debolezza nascono l’occupazione malavitosa di un terzo del paese, le immense disparità sociali a favore di furbi e rapinatori, la malapolitica e da essa l’antipolitica, ma anche le scuole e i capannoni fatti di sabbia ed eternit, che prima hanno distrutto l’ambiente di Emilia, Veneto, Lombardia, Friuli e poi ucciso chi vi lavora, se viene un terremoto o un’alluvione: eventi non prevedibili, ma non escludibili dalle cure di chi cerchi di prevenire il peggio. Quanti sopralluoghi hanno fatto lo Stato, le regioni, i comuni ai cantieri dove i capannoni sono stati costruiti a migliaia con quattro soldi, dall’avidità di proprietari e costruttori che esponevano la nuova merce a chi volesse aprire una fabbrichétta chiavi in mano? E quando mai gli amministratori e le popolazioni sono insorti contro la devastazione, lasciando che le proteste ambientaliste si limitassero inopportunamente a Tav, inceneritori, termoconvertitori?

La ministra Cancellieri ha mandato a Brindisi un rinforzo di 200 tutori dell’ordine, 100 per il presidio del territorio e 100 a disposizione degli inquirenti. Con più soldati sul territorio, forse i 200 avrebbero potuto essere tutti a disposizione degli inquirenti, per un repulisti generale della “sacra corona”. In più, la debolezza delle polizie speciali, come la Forestale, l’inaffidabilità delle polizie comunali, l’inconsistenza di quelle provinciali, costiere – da noi si moltiplicano le sigle, non i mezzi e il coordinamento – non consentono che il servizio di intelligence, l’unico strumento per vincere preventivamente la guerra contro mafiosi terroristi e abusivi, riesca a coinvolgere le articolazioni locali dell’amministrazione. La crisi di un’autonomia spinta ai limiti del federalismo si coglie anche in questo. L’unico omaggio non retorico che si possa fare a Melissa e ai morti dell’Emilia sarebbe un riesame di tutto questo sfasciume culturale, che ci ha trascinati dal centralismo d’importazione all’anarchia autonomistica.


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