Editto bulgaro, sono passati 10 anni…

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18 aprile 2002-18 aprile 2012. Sono passati dunque dieci anni dal giorno in cui l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in visita a Sofia, Bulgaria, si lasciò andare, diciamo così, alla famosa dichiarazione secondo la quale tre persone, in ordine alfabetico Biagi, Luttazzi e Santoro, avrebbero dovuto essere cancellati dai palinsesti della Rai. Motivo, sempre a giudizio del Premier: i tre personaggi avevano fatto un ‘uso criminoso’ della tv pubblica. Confesso che sia io, sia la mia famiglia, ci eravamo dimenticati di quella data, o forse abbiamo voluto cancellarla, ma se altri, in queste settimane, non ce l’avessero ricordata, in casa nostra proprio non se ne sarebbe fatta parola. Forse perché ne erano state spese troppe.

Tornando a quella lontana primavera, nessuno di noi prese sul serio la frase del Capo del Governo e pensando a nostro padre le mie sorelle ed io non riuscivamo a credere che non venisse rinnovato il contratto a un signore più che ottantenne, riconosciuto come un’icona del giornalismo e stimato in tutto il mondo. Dirò di più: a volte liquidavamo le preoccupazioni paterne con una battuta e i suoi pensieri ci parevano eccessivi. Ci siamo sbagliate. Le cose andarono come tutti ormai sanno ed Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi furono cancellati dall’elenco dei dipendenti di viale Mazzini. Per il più anziano di loro era un momento particolarmente difficile: nel giro di un anno aveva perso la moglie e la figlia più giovane e se non si possono paragonare due lutti così dolorosi alla chiusura di un rapporto di lavoro, certo è che da quel momento noi abbiamo visto nostro padre improvvisamente vecchio.

Allontanato dalla sua redazione del ‘Fatto’, aveva il pensiero fisso per tutti quelli che avevano lavorato con lui in corso Sempione e che, in modi diversi, avevano pure loro subito l’editto bulgaro. “Cosa volete che sia per me?”, diceva. “Non ho le rate del mutuo da pagare né bimbi piccoli da crescere, ma tanti di quelli che erano con me sì. E poi togliere il lavoro a una persona significa togliergli la sua dignità”. Anche se continuava a scrivere sul ‘Corriere della Sera’, su ‘L’Espresso’ e su ‘Oggi’, a poco a poco si intristì, il telefono suonava meno e lo consolavano solo le cene con Loris Mazzetti, a immaginare programmi che avrebbero potuto fare, e le chiacchierate con Franco Iseppi, ricordando una Rai che non c’era più. Non covava rancori, solo si sentiva profondamente offeso per il fatto che quarantuno anni in quell’azienda fossero stati chiusi con una raccomandata con ricevuta di ritorno. La vita, poi, gli fece un ultimo regalo: il 23 aprile 2007 i telespettatori di Rai3 videro affacciarsi in video Enzo Biagi, seduto alla scrivania di ‘Rt’ a intervistare Roberto Saviano, don Ciotti, Paul Ginsborg, Umberto Veronesi, Gherardo Colombo e Pippo Baudo. Era certamente diverso: la voce arrocchita dalla malattia, i capelli ancora più bianchi, lo sguardo che spesso si velava di malinconia, ma quando si accendevano le luci pareva che avesse vent’anni di meno. Poi le luci si sono spente, ma non per qualche editto.


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