MARCO REVELLI: “Gli ideali devono tornare a contare, perché se non contano gli ideali, contano solo gli interessi”

0 0

Professor Revelli, noi analizziamo i Tg e non possiamo che ritenerli – per essere benevoli –  alquanto ondivaghi su diversi temi. Facciamo un esempio: lunedì scorso il tonfo delle borse era dovuto alla vittoria di Hollande; nei giorni successivi, quando le borse si sono rialzate, i telegiornali hanno fischiettato e fatto finta di nulla. Sul tema per il quale la vogliamo sentire stasera, quello della politica e dell’antipolitica, sembra di assistere alle fazioni contrapposte delle curve di uno stadio: da una parte i richiami pressanti di Napolitano, in apertura su quasi tutti i Tg, dall’altro lo spazio inusitato dato a Grillo, che tra l’altro è stato presente attraverso le sue apparizioni pubbliche nei comizi e negli spettacolo, e non con le metodologie classiche del giornalismo, cioè attraverso interviste. Per rimanere al tema della politica e dell’anti politica: come la vede lei da storico e sociologo? A che punto siamo? Qual è la temperatura di questo organismo  così vitale per il nostro Paese?
“Be, io ho detto più volte che abolirei il termine antipolitica, perché viene usato in genere dai rappresentanti di questa politica per esorcizzare le critiche e l’ondata di protesta che sale dai loro stessi elettori e dai militanti. La politica è verticalmente in crisi, e la maggiore responsabilità è di chi ha fatto politica  in modo maggioritario fino ad oggi. L’ondata di proteste assume talvolta forme sgradevoli – a me l’ultimo Grillo non piace per niente. E tuttavia questa ondata, che in qualche sua espressione diventa anche preoccupante per la visceralità dei linguaggi e dei comportamenti, è comunque un prodotto della cattiva politica  e del comportamento dei  suoi esponenti,  che fino ad oggi hanno monopolizzato lo spazio pubblico. Per questo è importante che in questo spazio pubblico si affermi un diverso comportamento, una metodologia nuova nel  linguaggio, nelle  relazioni e nei  rapporti”.

Professore, lei sarà protagonista assieme ad altri domani a Firenze dell’inaugurazione di un cantiere, un progetto relativo alla nascita di un nuovo soggetto politico. La domanda è banale, e la risposta immagino che sia scontata: non è una risposta sic et simpliciter all’antipolitica …
“In realtà l’espressione che usiamo è “soggetto politico nuovo”, nel senso che non vuole essere “uno tra gli altri”, l’ennesima piccolissima formazione politica. Vuole aprire il discorso sulla necessità di un nuovo stile di comportamento, di una nuova soggettività politica, di un nuovo modo di interpretare la pratica politica che rompa trasversalmente con la pratica di gran parte delle formazioni politiche. Vogliamo trasparenza e partecipazione effettiva e reale attraverso tecniche innovative; non la retorica della partecipazione, ma l’organizzazione della partecipazione. Vogliamo ascolto, elaborazione collettiva dei progetti: sono questi in qualche misura alcuni dei punti forti della proposta che vogliamo fare domani a Firenze, in questo primo appuntamento in cui cerchiamo di mettere a punto in metodo politico  alternativo a quei partiti che hanno determinato la crisi della politica. Dobbiamo evitare che la crisi attuale contagi le stesse istituzioni repubblicane, come sta già avvenendo, ed apra la strada a brutte avventure”.

Professore, mi permetto un esempio concreto che forse rischia di sfociare nel canalone del populismo e della critica populistica a questo sistema:  il Trota può avere tante colpe, tante responsabilità sue, familiari e della Lega, ma forse c’è una responsabilità collettiva: perché un consigliere della Lombardia, come di qualsiasi altra regione, deve guadagnare 12.500 euro al mese? Che cos’è: un tentativo di esorcizzare l’impreparazione dei nostri politici ed amministratori contrastandolo con  un appannaggio così elevato?
“Certo quello della Lega è un caso estremo e particolarmente scandaloso. Non dimentichiamo che nella prima metà degli anni Novanta la Lega era quella del “cappio”, di un giustizialismo brutale e feroce. Oggi sotto quel cappio ballano  gli stessi esponenti della Lega, e non per un’aggressione mediatica ma per scandali assolutamente reali. Detto questo, non c’è dubbio che l’invasione del denaro e l’intreccio impressionante tra politica e denaro ha bruciato la politica. Troppo denaro stravolge il personale politico. Bisogna ridurlo drasticamente. Io non sono per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, perché altrimenti solo i miliardari farebbero i loro partiti e vincerebbero per davvero. Sono per la fissazione di una soglia, definitiva e non superabile, di finanziamento alle forze politiche;  per la gratuità di alcuni servizi – quelli che servono per farsi conoscere – e per la sanzione durissima di chi viola questi diritti e queste regole”. 

Professore, sia io che lei abbiamo superato la maggiore età ormai già da qualche anno, diciamo pure da qualche decennio, quindi “veniamo da lontano” e non sappiamo bene dove andremo a finire noi insieme al Paese.  Nella dicotomia politica/anti-politica,  di fronte all’affermazione secondo la quale non esistono più gli schieramenti ideali – ideologici, lei come si pone? Ieri abbiamo celebrato con qualche polemica la festa della Liberazione. Lei ha un passato di sinistra, ma esiste ancora una distinzione tra la “sinistra” e “destra” in questo Paese e soprattutto, ha un senso per il  domani?
“La differenza ideale esiste sicuramente, per quanto gli ideali continuano a contare in politica. Non c’è dubbio che la sinistra rappresenta quel punto di vista che è favorevole all’eguaglianza sociale, alla riduzione delle diversità, che si batte per una società giusta; e “giustizia” significa dare dignità a tutti e non solo a qualcuno. La destra è totalmente il contrario. Il fatto che oggi prevalga ampiamente un punto di vista di destra, che ha invaso gran parte delle formazioni reali della sinistra, che ci sia un pensiero unico, fortemente condizionato dal neoliberismo, da questa visione feroce – per molti aspetti  – delle relazioni sociali che ha contagiato anche alcuni dei partiti della sinistra,  è un fatto conclamato. Gli ideali devono tornare a contare, perché se non contano gli ideali, contano solo gli interessi, e gli interessi da collettivi si fanno individuali, e quando la politica si fa sugli interessi individuali si tratta sempre di cattiva politica.

Professore, ai milioni di italiani che soffrono più che negli anni precedenti, e che saranno probabilmente destinati  a soffrire di più nella prossima fase, il Paese, noi, la democrazia, il sistema complessivo, di fronte a tanti sacrifici che vengono richiesti, cosa può dire? Cosa ci può essere sull’altro piatto della bilancia?
“Il Paese deve in primo luogo dire la verità, e non raccontare storie come avveniva fino a ieri, quando una grande narrazione illusoria sostituiva la realtà. Deve poi dare ascolto. L’ascolto delle ragioni e dei settori più disastrati della società è la precondizione che rende funzionale una democrazia. Si devono  ridurre le diseguaglianze, perché le diseguaglianze distruggono la democrazia: quando le distanze sociali superano una certa soglia, i cittadini diventano servi e non ci sono più rapporti democratici, bensì rapporti servili – come abbiamo visto negli ultimi tempi. Credo che queste siano le condizioni minime perché l’idea che abbiamo di democrazia continui a trovare qualche prospettivanella realtà”.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21