Il partito del “non lo so”. Una riforma semplice: settimo, non rubare

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C’è poco da dire, ormai, sullo specifico caso della Lega. Parlano e dicono i protagonisti di questa squallida vicenda, ed è sufficiente mettere in fila i loro volti e le loro dichiarazioni, in successione. Nel fuggi-fuggi, quello che colpisce è il carosello di assicurazioni di un gruppo dirigente teso a fornire l’immagine di un “Capo”, Umberto Bossi, stanco e malato, all’oscuro di tutto; gli altri attorno tramavano, lucravano, intascavano (e in questo senso testimonianze, documenti, intercettazioni, lettere, ricevute, assegni e bonifici bancari sembrano essere inoppugnabili), e lui non vedeva, non sapeva, non capiva. Il che può perfino essere vero; ma se il “Capo” non vede, non sa, non capisce, che “Capo” è? Occorre trarne le debite conseguenze: un Capo che non è Capo, una persona – è questa la rappresentazione che viene data da chi lo vuole difendere – che non è in grado di intendere, e chissà se lo è di volere. Come dice la saggezza popolare, dagli amici, mi guardi Iddio.

Una volta Leo Longanesi, che era tra l’altro un battutista feroce, disse che nella bandiera italiana andava ricamata la scritta: “Tengo famiglia”. Si potrebbe aggiungere oggi “Non so”. Perché “non so” sembra essere il motto, la parola d’ordine del regime che ci “sgoverna”. Non sapeva Silvio Berlusconi che Ruby non era la nipotina di Mubarak; non sapeva Gianfranco Fini che la casa ereditata a Montecarlo dal suo vecchio partito, Alleanza Nazionale, era finita nella disponibilità del cognato; non sapeva l’ex ministro Claudio Scajola chi gli ha pagato parte della casa davanti al Colosseo; non sa Francesco Rutelli che il tesoriere della Margherita Lusi si è appropriato di milioni euro; non sa Roberto Formigoni chi per suo conto ha falsificato le firme per le sue liste; non sapeva l’ex sottosegretario Carlo Malinconico chi pagava, e perché, i conti d’albergo dove andava in vacanza; non sapeva il sindaco di Bari perché gli regalavano gamberoni e cozze; e ultimo in ordine di tempo a non sapere è Bossi: non sapeva che il figlio “trota”, la moglie, Rosy Mauro e chissà quanti altri, lo turlupinavano e facevano man bassa del denaro della Lega…

Si può provare a ricavare un qualche succo, da queste vicende. Ed è questo: che gli abitanti del “Palazzo” non sembrano aver bene compreso la gravità della situazione; o se la comprendono rivelano tutta la loro impotenza. Elucubrazioni su possibili rassemblement,  formazione di terzi o quarti poli; in una botta di fantasia, ipotizzano, alle prossime elezioni, invece che presentarsi con i soliti simboli, di mimetizzarsi dietro e dentro liste civiche, ritenendo che la zuppa, in luogo del pan bagnato risulti più digeribile, che questa semplice operazione di cosmesi possa ingannare.

A quanti, in questi giorni, si industriano a escogitare come modificare le regole che assicurano fiumi di denaro ai partiti sotto forma di “rimborsi” per spese peraltro mai effettuate, si può sommessamente suggerire che una norma molto semplice ci sarebbe già: breve e chiara: settimo non rubare. Viene da lontano, come sappiamo; ed è, per inciso, anche il titolo di un libro scritto cinquant’anni fa da Ernesto Rossi; andrebbe riletto.


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