La Rai e “le voci di dentro”

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L’articolo di Benedetta Tobagi pubblicato da “Repubblica” è un provvidenziale sasso gettato nel pantano in cui è precipitato, ormai da anni, il dibattito politico sulla Rai: un confronto povero di contenuti, sguaiato nei modi e zeppo di luoghi comuni e ipocrite frasi di circostanza. Vittima di un colossale conflitto d’interessi, la più importante industria culturale del paese è stata privata della sua autonomia fino al punto di smarrire la sua identità e la sua missione. Chi avrebbe dovuto opporsi a quest’opera di snaturamento, lo ha fatto poco e male; non di rado è stato connivente con chi ha considerato la Rai solo la posta in palio di un meschino gioco politico. In questo senso, l’invito del consigliere d’amministrazione Tobagi a “contrastare la sciagurata tendenza per cui le decisioni maturano tra camarille riservate” assume un particolare valore perché apre la via ad un’alleanza tra quanti all’interno della Rai (dirigenti, giornalisti, dipendenti e vertici aziendali) si battono per un profondo rinnovamento dell’azienda e tutte quelle associazioni culturali, sindacali e di settore che, su iniziativa di Articolo 21, hanno dato vita, alcuni mesi fa, ad una consultazione pubblica sul futuro della Rai che investa, innanzitutto, le giovani generazioni.

Il Contratto di servizio 2012 – 2015, attualmente all’esame della Commissione di Vigilanza, è un’ulteriore occasione per rinsaldare quest’alleanza. In questo caso l’obiettivo è abrogare l’articolo che impone l’apposizione di un bollino blu ai programmi di servizio pubblico per distinguerli da quelli commerciali: una prescrizione insensata (i programmi della Rai, a prescindere dai generi,  magari sono scadenti, ma non possono che essere tutti di servizio pubblico) volta soltanto a legittimare, alla scadenza della Concessione, la richiesta di ripartire una quota del canone tra le emittenti private. Anche in questo caso, si è manifestata una certa sintonia tra gli interventi di alcuni commissari e quelli della Presidente Tarantola e del DG Gubitosi.

Il secondo convegno, quello di Villa Medici del 12 ottobre, è stato l’occasione per lanciare un concorso tra gli studenti impegnandoli a riscrivere la “carta d’identità della Rai”: un’iniziativa che ha raccolto l’adesione non solo di prestigiose personalità come Sergio Zavoli, Tullio De Mauro, Dario Fo, Adriana Cavarero e Giorgio Albertazzi ma anche di importanti associazioni come la Federazione della Stampa, l’Adrai, l’Usigrai, l’Arci, gli autori e i registi cinematografici (Anac), i sindacati della comunicazione (Cgil, Cisl e Uil), i produttori televisivi (APT), Libera Informazione, Libertà e Giustizia, ecc.

Con l’aria che tira è difficile essere ottimisti; tuttavia se proviamo a dare uno sguardo d’insieme al cammino intrapreso con il convegno del CNEL del 2 luglio promosso da Articolo 21 e Fondazione Di Vittorio, dove abbiamo posto all’ordine del giorno il rinnovo della Concessione del servizio pubblico in scadenza nel 2016, non è azzardato pensare che stia per nascere un movimento analogo, per ampiezza e determinazione, a quello che nei primi anni Settanta portò alla riforma della Rai del 1975; un movimento che consentì al servizio pubblico di vivere, sebbene per un tempo limitato, una stagione di reale indipendenza, di creatività e di profondo rinnovamento. Le premesse ci sono. Quando “Le voci di dentro” cominciano a dialogare con le voci di fuori e a parlare lo stesso linguaggio, il cammino è già avviato: hic Rhodus hic salta.


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