Charles de Gaulle, l’immensità di una Repubblica

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Di Charles de Gaulle, scomparso a settantanove anni il 9 novembre 1970, è stato detto e scritto praticamente tutto. Il generale non ha segreti per chiunque conosca un po’ la delicata vicenda francese e il ruolo della patria dei lumi nella vicenda storica, politica e militare del Ventesimo secolo.
Del Novecento de Gaulle è stato il demiurgo e uno dei principali interpreti, un punto di riferimento e, al tempo stesso, un demone, il mito per alcuni e l’autore di un colpo di Stato per altri. Ha avuto estimatori smodati e altrettanto smodati detrattori, ha diviso, indotto a discutere e rivoluzionato lo scenario globale come pochi altri condottieri hanno saputo fare.
Non sorprende, data la tempra del personaggio, capace di vivere ogni giorno in trincea e di salvare il suo Paese in tre passaggi decisivi, senza i quali le conseguenze sarebbero state assai peggiori per tutta l’umanità. De Gaulle è stato, infatti, un eroe di Verdun, un punto di riferimento nella lotta contro il nazismo e colui che seppe condurre democraticamente la Francia verso il futuro nei giorni bui della Guerra d’Algeria e della crisi della Quarta Repubblica, quando l’esperienza di Mendès France si rivelò non solo inadeguata ma addirittura dannosa e lesiva dell’unità nazionale.
L’impressione è che si sia ormai giunti all’epilogo della Quinta repubblica, la Repubblica gaullista, basata su un monarca repubblicano di impronta gioviana, quasi un Dio in Terra, una figura sacrale che non può corrispondere alle personalità oggettivamente deboli che si sono susseguite nelle ultime legislature. Non esitiamo, dunque, a credere che la Francia sarà presto costretta a cambiare, ancora una volta, Costituzione, scegliendo un modello meno verticistico e più corrispondente alla società orizzontale e a rete di questo secolo globale e interconnesso, iper-tecnologico e complesso come non mai.
Charles de Gaulle, dal canto suo, è stato l’icona della Francia post-bellica, vincitrice del secondo conflitto mondiale ma costretta a fare i conti con le proprie ferite, le proprie contraddizioni e una crisi che era, al contempo, sociale e istituzionale, nel gorgo della decolonizzazione e di un mondo in repentino mutamento di cui solo un uomo d’azione come il generale poteva farsi interprete, riportando Parigi al centro della scena internazionale e scongiurandone il declino. Ai tempi della Costituzione gaullista ebbe poteri pari a quelli di Cincinnato, fu una sorta di dittatore democratico e seppe tenere le redini di una realtà magmatica nella quale già si intravedevano le grandi questioni del futuro: dall’immigrazione all’integrazione, fino alla gestione della cosiddetta “Françafrique”,  che della Francia è tuttora una componente essenziale.
Ebbe come punti di riferimento in Africa figure straordinarie come il poeta senegalese Senghor, padre della “Négritude”, e seppe comprendere per tempo l’inattualità dell’abbaglio coloniale, tanto che oggi fra i paesi africani meno tumultuosi vi sono proprio le ex colonie francesi della regione del Maghreb.
Fu il dominus degli anni Sessanta, regolò i conti con la NATO, diede alla Francia il ruolo che ancor oggi le spetta e cadde solo quando ormai la sua epopea volgeva all’epilogo, travolta dalla ribellione giovanile del Maggio 1968 e dalla consunzione di un’avventura che lo aveva costretto ad assumere decisioni tremende, senza mai smarrire la lucidità necessaria per difendere i valori della Rivoluzione francese e l’unicità di una nazione essenziale nello scacchiere planetario.
È stato, senza retorica, la versione moderna di Napoleone, affrontando una Waterloo elettorale che, tuttavia, non comportò né l’Elba né Sant’Elena, nessun esilio e una fisiologica transizione verso un’altra era.
Scrisse le sue memorie a Colombey-les-Deux-Églises e se ne andò quando ormai la sua figura era pronta a consegnarsi alla leggenda, dopo essere stata mito, per lunghi anni, già in vita.
Parigi e la Francia gli hanno tributato l’omaggio che merita. A lui e a Churchill, due conservatori tutt’altro che di sinistra, dobbiamo buona parte della sconfitta del nazismo e del disastro che avrebbe comportato una sua eventuale vittoria.

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