Venerdì 20 agosto 2004. Il giornalista Enzo Baldoni scompare in Iraq, insieme al suo autista, accompagnatore ed interprete Garib. Viene rapito dall’Esercito islamico dell’Iraq, una sedicente organizzazione fondamentalista musulmana ritenuta genericamente legata ad al Qaida. Dopo un ultimatum all’Italia per il suo ritiro di tutte le truppe entro 48 ore, alla fine viene ucciso: la data esatta e il luogo della morte non sono però mai stati accertati. Si presume che sia stato assassinato il 26 agosto 2004. Nel luglio 2005 la Croce Rossa entra in possesso di un frammento di osso che si pensa potesse appartenere al corpo di Baldoni; questa ipotesi viene confermata il mese successivo con i risultati delle analisi del DNA eseguite dal Reparto investigazioni scientifiche (RIS) dei Carabinieri. I resti del cadavere di Baldoni vengono riportati in Italia solo nell’aprile 2010, a quasi sei anni dal suo omicidio. I funerali vengono celebrati a Preci il 27 novembre 2010.
Enzo Baldoni nasce a Città di Castello, provincia di Perugia, 8 ottobre 1948.
E’ sposato con Giusi Bonsignore ed è padre di due figli, Guido e Gabriella.
All’attività di pubblicitario ci arriva dopo essere stato muratore in Belgio, scaricatore alle Halles, fotografo di cronaca nera a Sesto San Giovanni, professore di ginnastica, interprete e tecnico di laboratorio chimico, perfino autore in incognito per la rivista porno degli anni settanta, Caballero.
Un giorno, il pubblicitario Emanuele Pirella lo chiama e gli fa capire che «essere copy writer è sempre meglio che lavorare».
Così insieme alla moglie Giusi e all’amico Marco Andolfato, gestisce l’agenzia “Le Balene colpiscono ancora”.
Nel tempo, realizzano campagne pubblicitarie geniali e innovative per numerose marche nazionali e internazionali: Enichem, Bic, Gillette, Mcdonald’s.
Come altrettanto risulta creativo il sito internet delle Balene, divertente e dissacrante.
Enzo Baldoni insegna all’Accademia di Comunicazione di Milano e conserva un posto importante nell’Art Director’s Club.
Oltre al lavoro, coltiva le sue passioni, quelle che porta avanti da una vita, come i fumetti.
Cura infatti le edizioni italiane delle strisce di Garry B. Trudeau (di cui è traduttore da vent’anni), Frank Miller e Gèrard Lauzier.
Soprattutto ama viaggiare e raccontare.
E’ un grande narratore Enzo Baldoni, una penna fluida e dinamica.
Collabora per alcune prestigiose testate giornalistiche: Diario, Linus, Specchio della Stampa, Venerdì di Repubblica.
L’amore per la scrittura lo porta infatti in varie parti del mondo.
I suoi viaggi non si trasformano mai in avventure di turisti in cerca di brividi..
“Passo le vacanze viaggiando dove succede qualcosa e colleziono personaggi strani e interessanti, spesso guerriglieri.”
Negli anni, Enzo Baldoni è in Messico, Chiapas, nella selva Lacandona, sulle tracce degli zapatisti e del subcomandante Marcos.
Si sposta nelle fogne di Bucarest con il clown Miloud e insegna a bambini già tossicodipendenti a fare i giocolieri.
E’ in Birmania durante lo sterminio della minoranza etnica Karen, tra i massacri di Timor Est e le sofferenze degli uomini nel lebbrosario di Kalaupapa, nelle isole Hawai.
Baldoni mangia riso e ranocchi con la portavoce dei ribelli birmani Aye Aye Khing, si perde nella giungla tailandese alla ricerca dei Fratelli Htoo, i gemelli di dodici anni che guidano il cosiddetto Esercito di Dio.
In Colombia raggiunge uno dei principali campi dei guerriglieri delle Farc, Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo.
Baldoni intervista una comandante sul cui capo pende una taglia di un milione di dollari.
Poi viene sequestrato da due ragazzini col mitra e si fa liberare dallo stesso capo militare che ordina la sua cattura.
Dei suoi viaggi, ama raccontare:
“Qualcuno pensa che io sia un mezzo Rambo che ama provare emozioni forti, vedere la gente morire e respirare l’odore della guerra come Benjamin Willard, l’odore del napalm la mattina in «Apocalypse now», invece sono lontano mille miglia da questa mentalità, molto semplicemente sono curioso. Voglio capire cosa spinge persone normalissime a imbracciare un mitra per difendersi”.
Tra luglio e agosto 1996 si reca in Messico, Chiapas, a San Cristóbal de Las Casas.
Per strada, incontra una simpatica signora francese, Danielle Mitterrand.
Mentre parlano di nipotini e del tempo che passa, il discorso cade sugli zapatisti.
Danielle invita Enzo sugli Altos del Chiapas dove intervista il subcomandante Marcos.
Secondo Baldoni, Marcos e gli zapatisti hanno successo perché colpiscono il cuore degli indios, dei messicani e degli occidentali.
Il suo pezzo esce sul mensile Linus: si intitola “Culo e carisma”
“Marcos ha due qualità fondamentali per un leader: carisma e culo. Il carisma se lo è guadagnato sul campo. Dodici anni fa si bruciò tutti i ponti dietro le spalle e andò nell’Alto del Chiapas con altri quattro compagni. Probabilmente addestrati in Salvador o in Nicaragua, il compito di questi guerriglieri di formazione marxista era quello di sollevare i sottoproletari indigeni secondo lo schema classico della guerriglia cubana, vietnamita o sandinista. Ma nel frattempo è successo qualcosa. Qualcosa di grosso: la caduta del muro di Berlino, il lento declino di Cuba. E qualcosa di sottile: la vita quotidiana coi discendenti dei Maya, con la loro filosofia, il loro complesso sistema di simboli, la loro magia.”
Di miglia in miglia aeree, Enzo Baldoni si reca in Indonesia.
Per la rivista Linus e il quotidiano La Repubblica, nel suo soggiorno tra agosto e settembre 1999, realizza un’intervista esclusiva a Alexandro Freitas Gusmao, leader dell’East Timor Student Forum, considerato il Nelson Mandela del Sud est Asiatico.
Il 30 agosto 1999, in un referendum, il 78,5% della popolazione di Timor non accetta l’autonomia proposta da Giakarta e decide la sua indipendenza dall’Indonesia.
Enzo Baldoni scova Alex Gusmao dentro il bunker dell’Ambasciata Britannica, nei giorni terribili in cui le milizie scatenate dagli indonesiani bruciano le case di Timor Est, tagliano le teste degli oppositori e le mostrano in pubblico.
E’ un ritratto di uno studente di filosofia dall’aria timida e mite, diventato capo guerrigliero con grandi ambizioni politiche, nel mirino dei servizi segreti indonesiani.
Dopo diciott’anni di giungla e otto di carcere duro, Gusmao non perde mai la fiducia nella liberazione e nell’indipendenza dell’ex colonia portoghese:
“Scrivi che la prima cosa che farò quando Timor est allaccerà rapporti con l’Italia sarà una partita di calcio tra Inter e Timor est. Diglielo a Moratti.>>, e ride di gusto, una risata contagiosa. Che personaggio. E’ molto abile, gioca su due livelli, è capace di essere ridanciano e appassionato, retorico e molto secco, coinvolgente o minaccioso. Ha un carisma travolgente, lo ami a prima vista. L’intervista fila via liscia, è un po’ una chiacchierata tra due persone.
Nel 2000, Baldoni raggiunge la Birmania.
E in quella terra, dove dominano ancora oggi dittatura e repressione contro ogni forma di opposizione, realizza uno splendido reportage pubblicato dal settimanale del quotidiano La Stampa, Specchio del venerdì.
Descrive una storia dimenticata: quella della minoranza etnica Karen, impegnata nella sua “crociata dei bambini”:
“Qui, sul confine, tra Birmania e Thailandia, si gioca una partita che ha sempre interessato pochi, in Occidente. Da una parte uno dei tanti piccoli popoli che le divisioni coloniali hanno lasciato senza una patria. Dall’altra una giunta militare, quella birmana, chiusa, oppressiva, corrotta. Decisa a spazzare via l’identità dei Karen, così si chiamano le vittime. Con le uccisioni, i rastrellamenti, le torture, gli stupri. La pulizia etnica. Tra le montagne, nella giungla, è difficile che qualcuno si intrometta. È facile coprire tutto con il silenzio delle vittime. Ed è per rompere questo silenzio che la frangia più disperata della guerriglia ha passato il confine e ha colpito in Thailandia. Azioni eclatanti, suicide. Prima l’assalto all’ambasciata della Birmania a Bangkok. Poi quello all’ospedale di Ratchabury, finito con l’uccisione, a sangue freddo, dei guerriglieri-bambini. Bambini sono anche i loro comandanti, Luther e Johnny. La foto dei gemelli dodicenni, con il sigaro birmano tra le labbra, ha fatto il giro del mondo “.
A Kalaupapa, nelle isole Hawaii, c’è il lebbrosario più bello del mondo.
Nessun giornalista è mai entrato.
Nessuno dunque ha raccontato la storia di questo luogo di solidarietà e dolore, posto in mezzo all’Oceano Pacifico.
Enzo Baldoni ci arriva nel 2002:
“Morbo di Hansen? Bullshit. Mia nonna e’ morta di lebbra, mio padre e’ morto di lebbra, tre fratelli sono morti di lebbra e la lebbra ce l’ho anch’io. E allora?” ghigna Richard, sardonico, e continua: “Il governatore mi ha chiesto di che armi avevano bisogno i miei aiutanti. Armi, gli ho detto io? Ai miei aiutanti servirebbero delle dita!” Richard fa lo sceriffo in quello che forse e’ il lebbrosario più bello del mondo: Kalaupapa, il lebbrosario delle Hawaii”.
Dal lebbrosario delle isole Hawaii, Enzo raggiunge Bucarest: si aggira nelle fogne della capitale romena, là dove bambini si iniettano nelle vene droghe pesanti e sniffano colla Aurolac dagli effetti devastanti, mentre prostitute non ancora donne vivono la loro totale emarginazione.
Si riscaldano dormendo accanto alle condutture di acqua calda centralizzata realizzate dal dittatore Caucescu. Ma nel viaggio negli inferi di Bucarest, Enzo non è solo.
Con lui c’è il clown Miloud Oukili:
“Una discesa nelle fogne di Bucarest, calde, puzzolenti e schifosamente umide, tra piccole prostitute e bambini drogati, dove certe notti puoi incontrare un diavolo. O forse un angelo, non si sa bene: Miloud Oukili, clown e capobanda, che ha strappato alle fogne, alla prostituzione e alla colla centinaia di ragazzini brutti, sporchi e cattivi”.
A Baldoni interessano figure carismatiche, quasi mitiche: guerriglieri e leader politici, spesso borderline, che combattono per le proprie idee. Nel 2003, nel suo viaggio in Colombia, narra le storie di Nancy, Mariana, Moroshka, Estrella, giovani militanti delle Farc.
Sono quattro donne che hanno lasciato figli e famiglie per indossare una tuta mimetica, ma non rinunciano a un filo di rossetto, a un pizzico di civetteria e a molta tenerezza:
“Un po’ Mara Cagol. Lei è diventata prima una terrorista e poi una guerrigliera. Mariana viveva a Bogotá: nel 1986 iniziarono i «los años de los sicarios». I sicari, molto spesso agenti dei servizi segreti, organizzati da generali dell’esercito e dalla destra, cominciarono ad ammazzare, sistematicamente, chiunque fosse comunista. Fu una strage. Racconta la comandante: «Nos mataban por pensar distinto: ci uccidevano perché la pensavamo diversamente. Non mi piacciono le armi, non mi piace la guerra. Ma era l’unico modo per continuare a lottare senza venire uccisi. Entrai in clandestinità, nella guerriglia urbana. Sono sempre stata una ragazza precisa, ero brava a preparare le bombe: più che altro usavamo dinamite e miccia lenta. Raramente il Tnt.”
Lo stesso anno, sempre in Colombia, Enzo si imbatte nella perfidia del Comandante Ràmon, a capo di un gruppo paramilitare minore ma pericoloso, comunque tollerato dalle Farc.
A Ramòn, però, Baldoni conserva un trattamento diverso.
Perché Ràmon non è il subcomandante Marcos, neppure Gusmao, nemmeno Nancy, Mariana, Moroshka, Estrella.
Ràmon è un uomo spietato, che uccide i contadini per il controllo del territorio:
“Arriviamo a Tacueyó, proseguiamo per San Diego. Il sentiero si fa più duro, sale ripido. Puff, puff. Quando penso che non ce la faccio più, misericordioso, appare un cancelletto di legno basso. A guardia un tizio in jeans e fucile a pompa. E’ l’ingresso dell’accampamento. Facciamo ancora venti metri in discesa, tra gli alberi: ci viene incontro, cordiale, un signore brizzolato in maglietta nera e pantaloni mimetici, cinturone, pistola alla cintura, cappellino mimetico floscio. Somiglia vagamente a Sean Connery. E’ il comandante Ramòn. “Bienvenidos, Bienvenidos!” ci stringe le mani. Il vecchio Don Julio, dignitoso, gli stringe la mano con solennità. Gli altri sono guardinghi. Questi signori sono pur sempre quelli che, fino a un paio di anni fa, ammazzavano i Paez per il controllo del territorio “.
E sulle pagine del settimanale Diario, il comandante Ramòn si trasforma nella controfigura del colonnello Kurtz, descritto nel celebre libro di Conrad, “Cuore di tenebra”:
“Povero Comandante Ramón. Povero Peter Pan invecchiato. Povero Kurtz della mutua. Sarebbe una figura quasi comica, se gli occhi dei ragazzini che lo seguono adoranti non ricordassero che invece è tutta una storia di sangue, di sequestri, di uccisioni e di vite buttate”.
Siamo nel luglio 2004.
La casa editrice Il Saggiatore commissiona a Enzo Baldoni un libro -inchiesta.
L’idea è brillante: Enzo dovrebbe narrare le storie dei capi carismatici e dei combattenti senza nome delle mille guerriglie sparse per il mondo.
Lui progetta da tempo un viaggio in Kurdistan.
Vuole raccogliere le testimonianze dei Peshmerga, i partigiani curdi, impegnati nella costruzione di uno stato indipendente.
E’ il 27 luglio 2004.
Enzo annuncia la sua discesa nell’inferno iracheno.
“E’ tornato. E’ tornato il momento di partire. Da un po’ di tempo la solita vocina insistente tra la panza e la coratella mi ripeteva: “Baghdad! Baghdad! Baghdad!”. Ho dovuto cedere “.
Alla fine scrive le sue riflessioni sulla morte.
“Non ho una particolare paura della morte. L’ho conosciuta abbastanza bene. Alla mia sono andato vicino un paio di volte. Poi mi sono morte diverse persone tra le braccia. Ormai è una vecchia compagna di viaggio”.
Enzo Baldoni si trova in Iraq con un’ accredito del settimanale Diario. E il 20 agosto 2004 sparisce nel nulla. Scomparso? Volatilizzato? Enzo Baldoni collabora con il settimanale Diario diretto da Enrico Deaglio.
Anche l’ambasciata italiana a Baghdad ha perso il contatto con il giornalista. Non c’è ancora eccessiva preoccupazione: Enzo Baldoni non ha un telefono satellitare e quindi potrebbe trattarsi di semplici difficoltà di comunicazione.
23 agosto 2004. Maurizio Scelli, responsabile della Croce Rossa, non sembra preoccupato per la sorte di Enzo Baldoni. Poche ore prima dall’Iraq era giunta una notizia tragica; il ritrovamento del corpo senza vita dell’autista Garib.
24 agosto 2004. L’emittente araba Al Jazeera mostra un video dell’esercito islamico. Il gruppo rivendica il rapimento di Enzo Baldoni e intima all’Italia di ritirare le sue truppe dall’Iraq entro 48 ore, in cambio della vita dell’ostaggio. Nel video, Enzo Baldoni parla in inglese.
“Sono Enzo Baldoni, vengo dall’Italia, ho 56 anni, sono un giornalista e faccio anche volontariato per la Croce rossa. Io aiuto gli altri. Sono venuto in Iraq per scrivere un nuovo capitolo del mio libro”.
Il direttore del settimanale Diario, Enrico Deaglio, giudica comunque positivo aver visto vivo il collega Enzo Baldoni.
Dopo la trasmissione del video parla anche il responsabile della Croce Rossa Italiana Maurizio Scelli.
In quelle ore il settimanale Diario scrive un appello per la liberazione di Enzo Baldoni. In poche righe, ricorda il ruolo del giornalista in Iraq. Non un inviato embedded, ma un cronista di pace.
“Vorremmo far sapere agli uomini che lo hanno in custodia chi è Enzo Baldoni. È una persona animata di sentimenti d’umanità per le persone che soffrono nel mondo.È un giornalista indipendente e assolutamente autonomo. È un collaboratore del nostro giornale, “Diario”, settimanale libero nei confronti del governo italiano. Nel suo breve soggiorno in Iraq, Enzo Baldoni è stato determinante nell’organizzazione di due convogli di aiuti umanitari della Croce Rossa Italiana e della Mezzaluna Rossa, arrivati a Najaf il 15 e il 19 agosto”.
Anche Guido e Gabriella, figli di Enzo Baldoni, si rivolgono ai rapitori con parole commosse e piene di speranza.
L’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, in un’ intervista ad Al Jazeera, sottolinea come il giornalista era impegnato per alleviare le sofferenze del popolo iracheno.
26 agosto, intorno alle 23. L’emittente Al Jazeera annuncia la morte di Enzo Baldoni. Il ministro Franco Frattini parla con i responsabili della televisione araba. Poi racconta le sue impressioni in Italia.
Intanto in Italia si indaga sulla morte di Enzo Baldoni. Si torna indietro al 9 agosto 2004, quando il giornalista arriva all’aeroporto di Baghdad e si collega con Radio Città del Capo di Bologna. Il 10 agosto 2004 Enzo Baldoni racconta la vita a Baghdad
Il giorno dopo chiama da Falluja, martoriata dai bombardamenti e dagli scontri.
In quei giorni, Enzo Baldoni lavora per la croce Rossa italiana.
Enzo Baldoni è stato determinante nell’organizzazione di due convogli di aiuti umanitari della Croce Rossa Italiana e della Mezzaluna Rossa, arrivati a Najaf il 15 e il 19 agosto. In entrambi i casi, è riuscito a entrare nella città, a consegnare viveri e medicinali e trarre in salvo donne e bambini, mettendo a rischio la propria vita. Pochi giorni prima, aveva preso contatti con Teresa Sarti, presidente di Emergency, chiedendole aiuto per operare Mohammed, un iracheno che, mentre accompagnava la moglie a partorire in autoambulanza, era stato colpito da un carro armato americano. La moglie e il bambino erano morti. Enzo è stato rapito mentre stava tornando a Baghdad per accompagnare Mohammed all’ospedale di Emergency a Sulaymania.
7 settembre 2004. Al termine dell’audizione del direttore del Sismi, Nicolò Pollari. Secondo il presidente della Commissione di Controllo sui servizi segreti Enzo Bianco qualcosa ad un certo punto avrebbe modificato rapidamente l’esito delle trattative, forse il passaggio di mano di Enzo Baldoni da un gruppo ad un altro.
Storie di trattative nascoste, di patti inconfessabili in zone di conflitto, storie di operazione coperte.
Giornalisti come Enzo Baldoni portano solidarietà in terre martoriate dalla guerra, dalla violenza, dalla fame, dalla morte. Massacri senza senso, di conflitti senza fine, ancora oggi. Il racconto di Enzo Baldoni, mentre cammina nei corridoi del reparto grandi ustionati dell’ospedale della Croce Rossa a Baghdad è la testimonianza di un uomo di pace.
Di lui rimane il suo testamento che racconta più di ogni altra cosa chi era Enzo Baldoni.
“Ordunque, trascurando il fatto che io sono certamente immortale, se per qualche errore del Creatore prima o poi dovesse succedere anche a me di morire – evento verso cui serbo la più tranquilla e sorridente delle disposizioni – ecco le mie istruzioni per l’uso.
La mia bara è posata a terra, in un ambiente possibilmente laico, ma va bene anche una chiesa, chi se ne frega. Potrebbe anche essere la Casa delle Balene, se ci sarà già o ci sarà ancora. L’ora? Tardo pomeriggio, verso l’ora dell’aperitivo.
Se non sarà stato possibile recuperare il cadavere perché magari sono sparito in mare (non è una cattiva morte, ci sono stato vicino: ti prende una gran serenità) in uno dei miei viaggi, andrà bene la sedia dove lavoro col mio ritratto sopra.
Verrà data comunicazione, naturalmente per posta elettronica, alla lista EnzoB e a tutte le altre mailing list che avrò all’epoca. Si farà anche un annuncio sui miei blog e su qualsiasi altra diavoleria elettronica verrà inventata nei prossimi cent’anni.
Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati.
Vorrei che, per non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli e miei amici più stretti trovassero un breve ritratto del caro estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone, poesia, satira, epigramma, haiku.
Ci saranno alcune parole tabù che *assolutamente* non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai, inconsolabile, il mondo è un po’ più freddo, sono sempre i migliori che se ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha lasciati. Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico. Quindi dateci dentro e non risparmiatevi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato.
Poi una tenda si sposterà e apparirà un buffet con vino, panini e paninetti, tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salsicce e tutto quel che volete. Vorrei l’orchestra degli UNZA, gli zingari di Milano, che cominci a suonare musiche allegre, violini, sax e fisarmoniche. Non mi dispiacerebbe se la gente si mettesse a ballare. Voglio che ognuno versi una goccia di vino sulla bara, checcazzo, mica tutto a voi, in fondo sono io che pago, datene un po’ anche a me.
Voglio che si rida – avete notato? Ai funerali si finisce sempre per ridere: è naturale, la vita prende il sopravvento sulla morte. E si fumi tranquillamente tutto ciò che si vuole. Non mi dispiacerebbe se nascessero nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considererei un’offesa alla morte, bensì un’offerta alla vita.
Verso le otto o le nove, senza tante cerimonie, la mia bara venga portata via in punta di piedi e avviata al crematorio, mentre la musica e la festa continueranno fino a notte inoltrata.
Le mie ceneri in mare, direi.
Ma fate voi, cazzo mi frega.
