Noi non archiviamo. Con tutto il rispetto che si deve alla magistratura, e al Tribunale di Roma nello specifico, non abbiamo mai creduto e non crederemo mai che Mario Paciolla, il cooperante italiano morto in Colombia cinque anni fa (15 luglio 2020) in circostanze misteriose, si sia suicidato.
Come abbiamo fatto con le famiglie Regeni e Rocchelli, e come stiamo facendo per Alberto Trentini, il cooperante italiano detenuto in Venezuela senza che si sappia quasi nulla delle sue condizioni di salute e delle ragioni per cui è stato arrestato, continueremo a batterci in nome della verità e della giustizia. Continueremo ad andare davanti al tribunale, a sostenere l’avvocata Ballerini e a fungere da scorta mediatica nei confronti di due splendide persone come i genitori di Mario, Anna e Pino Paciolla, che giustamente non vogliono arrendersi. Le verità ufficiali, del resto, ci sono sempre andate strette, e ancor più inaccettabile riteniamo il silenzio di tanti, l’indifferenza di troppi e il desiderio di un certo mondo, giornalistico e politico, di far cadere nell’oblio vicende oggettivamente scomode per l’attuale esecutivo, benché non sia coinvolto in prima persona.
Noi non archiviamo perché non abbandoniamo a se stessi coloro che vogliono veder riconosciuti i propri diritti. E ribadiamo il nostro impegno e la nostra volontà di esserci, a cominciare da quest’intervista che altro non è che un modo per dar voce ai protagonisti di un caso ben più inquietante dell’arcinoto delitto di Garlasco. Sarebbe bello se anche il servizio pubblico facesse altrettanto, ma nel frattempo noi siamo qui. Per dirla con Calamandrei: “ai nostri posti ci ritroverete”.