Imparare a raccontare le migrazioni, questo segno globale dei nostri tempi

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Presentato il nuovo rapporto del Dossier Statistico Immigrazione a cura del Centro Studi e Ricerche Idos con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”

A fine 2022 si stimano in circa 295 milioni i migranti nel mondo, con la previsione di superare la soglia dei 300 milioni nel 2023: circa un abitante della Terra ogni 30.

In particolare, quelli con effettiva cittadinanza estera sarebbero nel 2022 oltre 183 milioni, a cui si aggiungono i 62 milioni e mezzo di sfollati interni che, con i 35 milioni di richiedenti protezione internazionale e altre categorie specifiche, come i quasi 6 milioni di rifugiati palestinesi e i 5,2 milioni di sfollati venezuelani, portano a 108,4 milioni i migranti forzati nel mondo. Ben il 40% di questi sono minorenni; adolescenti e bambini.

La sperequata distribuzione dei beni e delle risorse planetarie resta una delle maggiori cause dei flussi migratori globali: se il Nord del mondo dove abita poco più di un sesto degli abitanti del pianeta, 1,4 miliardi di individui, dispone di poco meno della metà del pil mondiale, nel Sud i restanti 6,6 miliardi di abitanti se ne spartiscono la parte rimanente. Del resto, secondo la FAO, 783 milioni di persone soffrono la fame (+122 milioni rispetto al 2019), una condizione che nel 20230 si stima riguarderà ancora 670 milioni di persone, rendendo sin d’ ora illusorio l’obiettivo “fame zero” dell’Agenda 2030.

Soprattutto per questa ragione, seguita da guerre, persecuzioni e disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico, lungo le rotte migratorie del Mediterraneo si imbarcano migliaia di migranti diretti in Europa e molti di essi trovano la morte in mare: dal 2014 all’agosto del 2023 i morti e i dispersi accertati sono stati circa 28mila ma probabilmente altrettante sono le vittime di naufragi non intercettati.

In particolare, lungo la rotta centrale, la più letale al mondo, tra gennaio e agosto 2023 il numero delle persone arrivate è stato di circa 115.000, a fronte delle 105.561 nel corso del 2022 e delle 67.724 del 2021, con un aumento del numero di morti o dispersi in mare nei primi 7 mesi dell’anno con i migranti giunti dalla Tunisia che per la prima volta hanno superato quelli arrivati dalla Libia. Questi ultimi sono diminuiti anche perché la “guardia costiera” libica ne ha nel frattempo intercettati a migliaia e ricondotti nei propri centri di detenzione dove secondo il rapporto 2023 di Ohchr i migranti sono vittime di crimini contro l’umanità. Nonostante ciò, l’Italia non solo nel 2022 ha rinnovato per il sesto anno consecutivo e per ulteriori 3 anni il memorandum d’intesa con Tripoli, che prevede consistenti aiuti economici e supporto tecnico per ridurre i flussi, ma il 16 luglio 2023 ha anche promosso la firma di un analogo accordo tra l’ Ue e la Tunisia.

Anche in territorio europeo si adotta una strategia onerosa, quella della esternalizzazione delle frontiere, che si associa alla pratica delle espulsioni e dei respingimenti illegali: : secondo il Black Book of pushbacks 2022, tra il 2017 e il 2022 sarebbero stati oltre 25mila quelli realizzati, con metodi brutali – percosse, denudamenti, bruciature, bastonate, docce gelide, torture – da diverse polizie nazionali lungo le varie rotte dirette verso l’Unione, basti pensare alla rotta balcanica. Ma le politiche di chiusura dei canali di ingresso regolari e di respingimento dei migranti non sono in grado di annullare la pressione migratoria: nel 2022 in Ue si registrano oltre 331mila ingressi irregolari contro circa 3 milioni di permessi di soggiorno rilasciati dagli stati membri, a dimostrare come una gestione delle migrazioni più realistica e funzionale resti ancora lontana dagli orientamenti comunitari. Secondo uno studio del Parlamento europeo del 2023, un sistema di asilo europeo efficiente farebbe risparmiare 18,5 miliardi di euro annui e l’accesso al mercato del lavoro per rifugiati e richiedenti asilo comporterebbe un aumento del Pil dell’1,1%, equivalente a 15,3 miliardi di euro annui.

Quanto all’Italia, costituisce un caso di gestione emergenziale e securitaria di un fenomeno in realtà strutturale: è una stabilità, quelle delle presenze straniere in Italia – più di 5 milioni, cioè l’8,6% della popolazione – che ridimensiona la retorica dell’invasione e che, allo stesso tempo, è il risultato di trasferimenti da e per l’estero e delle acquisizioni di cittadinanza sempre più spesso a seguito di lungo-residenza e relative a minori. Da noi le persone migranti trovano un’accoglienza sempre più osteggiata e una protezione sempre più difficile da ottenere; anche se contribuiscono, al netto delle spese e delle rimesse, con ben 9 miliardi annui al nostro Pil, a loro riserviamo i lavori più umili, precari e rischiosi, in una segregazione di fatto inalterata negli anni. Questo porta i lavoratori con un background migratorio a emarginazione e subalternità sociale, ben lungi dall’auspicabile modello di integrazione e inclusione sociale che sarebbe degno di un Paese civile. Così come afferma Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos: “La vera emergenza non è l’immigrazione in sé, ma la carenza di un impianto normativo serio che la regoli in maniera ragionevole e giusta. Il vero allarme sociale non sono gli stranieri, ma una classe politica astratta dalla realtà e non all’altezza delle sfide epocali connesse alle migrazioni, da almeno un quarto di secolo. Ciò che mette davvero a repentaglio la sicurezza nazionale non sono i profughi che arrivano ai confini, ma è il trattamento disumano che, per legge, riserviamo loro in modo sistematico in tutti gli ambiti più fondamentali della vita, disconoscendone i diritti basilari e rendendo proibitiva la realizzazione dignitosa della loro persona”.


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