Non è lottizzazione: è l’assalto all’immaginario collettivo

0 0

In queste ore stiamo capendo qualcosa di più in merito al carattere della destra al governo e pure sulla tenuta delle opposizioni. La vicenda della sostituzione d’imperio dell’amministratore delegato della Rai dà il tono generale dell’aggressione mediale in corso. Non si ricorda qualcosa di simile in passato. Non solo. La girandola di nomi che si stanno facendo per sostituire le figure in odore di “sinistrismo” è accompagnata da frasi roboanti sulla volontà di inaugurare narrazioni più consone alle intenzioni dell’odierna maggioranza. Insomma, dunque, non è in arrivo una classica spartizione di ruoli e di postazioni di comando, bensì una cavalcata nera tesa ad occupare il nostro immaginario. Fascismo e antifascismo sono messi sullo stesso piano, il razzismo non è più un tabù, le controriforme diventano la normalità. Per ottenere tutto questo non bastano leggi o mozioni parlamentari: è indispensabile costruire un senso comune adatto alla bisogna. La violenza simbolica non è meno insidiosa.
Non si può e non si deve sottovalutare ciò che avviene ora alla Rai, e magari domani nel resto dell’industria culturale italiana. Censura e autocensura si intrecciano indissolubilmente, quando soffia il vento del regime. La tristissima censura preventiva tentata ai danni del prestigioso fisico Carlo Rovelli, rientrata dopo una polemica deflagrata potentemente, è un caso di scuola. Spiace per l’autore della triste lettera allo scienziato, a dimostrazione di un clima insopportabile. Si eseguono i diktat, ma si interpretano i desideri di chi è al potere: così si costruisce un modello autoritario. Stupisce, però, che le forze di opposizione non abbiano sentito il bisogno di annunciare un’iniziativa comune contro l’annunciata occupazione. “Articolo21” ha proposto di organizzare una mobilitazione comune, costruita attraverso una tela di relazioni politiche, sociali, associative. Si potrebbe arrivare ud una scadenza nazionale, simile a quella che riempì piazza del Popolo di Roma nell’ottobre del 2009. Allora si lottava contro il predominio berlusconiano sulla comunicazione e il conflitto di interessi palese impersonificato dall’intreccio tra il Presidente del consiglio e il suo impero televisivo. Ma oggi il quadro rischia di essere persino peggiore: l’occupazione degli spazi radiotelevisivi diviene un paradigma istituzionalizzato: una fisiologia, piuttosto che un peccato di cui vergognarsi. E non si giudichino gli avvenimenti che toccano il sistema comunicativo come un’oasi sgradevole e circoscritta. Si tratta, invece, di una sequenza di un flusso complesso ed ambizioso. Stiamo assistendo, infatti, al tentativo ormai esplicito di cambiare gli assetti della Repubblica, così come ci furono consegnati dalla Resistenza attraverso la straordinaria Carta costituzionale. Il combinato disposto, come si usa dire, tra voglia di presidenzialismo e imposizione dell’Autonomia Differenziata classista e vergognosa ha bisogno di un terzo anello. Parliamo della conquista dei luoghi della formazione del consenso: dalla Scuola, all’infosfera. Attenzione, dunque, a sottovalutare ciò che accade. Le anime progressiste si guardino nello specchio e decidano se tenere la schiena dritta o piegarsi per un piatto di lenticchie. La Storia racconterà le giornate che viviamo da contemporanei come la frontiera della democrazia e ricorderà chi c’era e chi non c’era. Ad una delicata questione democratica si aggiunge una non meno consistente questione morale. Se la politica progressista vuole riprendersi credito e autorevolezza deve mettere in testa ad ogni programma il rispetto dell’etica, senza la quale il resto è chiacchiera o cattiva promessa.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21