Elly Schlein: dieci anni e un cammino 

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Ho conosciuto Elly Schlein nella primavera del 2013, ai tempi di OccupyPD, quando coraggiosamente occupava le sezioni del Partito Democratico per opporsi alla riedizione delle larghe intese, sull’onda del movimento americano che aveva messo in ginocchio i colossi di Wall Street, stigmatizzando un modello economico e di sviluppo che già nel 2011 appariva insostenibile. E lo era, altroché se lo era! Lo era dalla metà degli anni Novanta, quando però la sinistra post-Muro, inebriata dal mito della globalizzazione senza regole e senza diritti, aveva avallato la svolta a destra del mondo, in nome di un turboliberismo che ha finito con il distruggere il concetto stesso di welfare e con l’innescare una serie di conflitti di cui quello che sta avendo luogo in Ucraina è solo l’ultimo in ordine cronologico.
Spiace, a tal proposito, che non se ne rendano conto né i rossobruni convinti che Putin sia un novello Lenin né quanti pensano che l’imperialismo di zar Vladimir costituisca uno schiaffo alla globalizzazione che abbiamo propugnato con insana protervia per oltre un trentennio. Vladimir Putin, tronfio a Genova accanto a Berlusconi, Bush, Blair e agli altri piccoli leader mondiali che hanno portato scientemente avanti la distruzione del pianeta, del modello capitalista, liberista e disumano ne è la quintessenza. Ha mosso, dunque, sì una sfida ai valori occidentali ma a quelli del keynesismo, del Piano Beveridge, dei “Trenta gloriosi” e del rapporto sano fra capitale e lavoro. Ha mosso una sfida al nostro stare insieme, al nostro essere una comunità solidale, al nostro essere una società aperta e accogliente, al nostro contemplare tanto i diritti sociali quanto quelli civili e lo rivendica con orgoglio; tuttavia, se miete consenso anche alle nostre latitudini, è perché non siamo stati in grado di contrastarlo senza scendere sullo stesso terreno.
Da qui bisogna ripartire, se davvero si vuole parlare di pace e far sì che una guerra devastante non si trasformi in un conflitto nucleare. Quanto a Elly, me la ricordo nei primi anni in cui si affacciò sulla scena pubblica, non ancora trentenne. Ricordo le nostre chiacchierate al telefono, le serate trascorse fra riflessioni politiche e canzoni (suona molto bene la chitarra), i momenti di spensieratezza e quelli più seri, le difficoltà, i timori e la rabbia che animò entrambi nella stagione del renzismo arrembante, quando ci ritrovavamo d’estate, sempre più incazzati, a ragionare su un PD che aveva smarrito la rotta, ormai avviato verso una deriva che lo ha portato a subire atroci sconfitte. Vi confesso di essere entrato, domenica scorsa, in quella che un tempo era la mia sezione con il morale sottoterra, certo che la scheda che stavo inserendo nell’urna sarebbe stata l’ultima, che non avrei mai più votato per quel partito, che avrei dovuto cercare altrove la sinistra che da quelle parti non esisteva più. Invece è accaduto un miracolo. Non ci credevo, ho sbagliato clamorosamente il pronostico, ero certo che sarebbe andata male e non sono mai stato così contento di averci visto male.

Elly ha vinto contro tutto e tutti, coinvolgendo i giovani e le donne, le due categorie più ignorate dal Partito Democratico nell’ultimo decennio, ottenendo risultati bulgari in città come Genova e vincendo nettamente in numerose altre realtà. Ha vinto perché ha prevalso il desiderio di mandare a casa buona parte della classe dirigente che ha portato quel partito a perdere non solo le elezioni ma anche, talvolta, la propria dignità. Ha vinto perché una miriade di persone, finora non rappresentate da nessuno o il cui voto era stato prestato, temporaneamente, ad altre forze politiche, nella speranza che prima o poi il PD uscisse dal tunnel nel quale si era cacciato nel 2013, ha scelto una segretaria la cui storia e la cui biografia somiglia, in qualche modo, a quella dei suoi potenziali elettori ed elettrici. Ha vinto perché ha saputo essere radicale senza mai scadere dell’estremismo. Ha vinto perché ne è stata premiata la coerenza, avendo abbandonato, a suo tempo, un partito che stava andando pericolosamente a destra mentre molti altri hanno accettato passivamente quella deriva. Ha vinto perché non è rimasta indifferente all’indignazione che montava nell’elettorato di sinistra ai tempi del Jobs Act, della Buona scuola e del tentativo di stravolgere la Costituzione. Ha vinto perché ci ha creduto quando altri, me compreso, avrebbero lasciato perdere, e ora si trova a dover guidare un PD mai così fragile, diviso, in preda a crescenti tensioni fra le sue correnti e chiamato a fare i conti con il sovvertimento del voto degli iscritti ad opera degli elettori e delle elettrici delle primarie. Eppure, se andiamo a dare un’occhiata alle storie di chi si è rimesso in fila domenica scorsa, magari dopo tanto tempo, ci rendiamo conto che in parecchi casi si tratta di persone che un tempo avevano in tasca la tessera del PD o, comunque, lo votavano e poi hanno smesso, non potendone più di un soggetto che credevano irrecuperabile.

Se un po’ conosco Elly, posso dirvi sin d’ora che almeno nei primi mesi non darà vita a grandi rivoluzioni. La ragazza è scaltra, sa il fatto suo, ha buona cultura e una discreta esperienza politica. Sa di dover tenere insieme la propria comunità, sa di doverla ampliare senza scossoni, sa di dover rispettare chi non l’ha votata, sa di non potersi discostarsi del tutto dalla linea precedente, sa di dover utilizzare la dinamite ma anche il cacciavite, sa che i gruppi parlamentari le sono contro e che dovrà fare loro qualche concessione. Insomma, conosce il mondo e sa di dover coniugare idealismo e pragmatismo, passione e convenienza, ideologia e apertura mentale, speranza e coesione fra le componenti di un universo che ha già subito, negli anni, innumerevoli scissioni. Sa anche che si gioca tutto e non è intenzionata a fallire. Pertanto, non mi aspetto un cambiamento immediato ma una sana progressione, una svolta oculata e all’insegna della saggezza e dell’ascolto nei confronti del prossimo, per poi imprimere un’accelerazione dopo le Europee, qualora dovessero andare come coloro che l’hanno sostenuta si augurano. Solo allora vedremo all’opera la vera Elly Schlein, quando si tratterà di ricostruire il campo progressista, di prepararsi al voto per le Politiche e di dar vita alla riscossa che tutte e tutti noi attendiamo dallo scorso 25 settembre. Evitiamo, dunque, di metterle fretta, di pretendere l’impossibile, di chiederle di compiere azioni avventate e controproducenti e di comportarsi come se fosse una sprovveduta, cosa che non è per nulla.
Ciò che le chiediamo, al contrario, è di condurre sin d’ora a un’opposizione che contrasti questa destra provvedimento per provvedimento, in maniera durissima, senza fare alcuno sconto, senza cercare alcun compromesso, battendosi contro la malvagità dilagante e schierandosi convintamente dalla parte degli ultimi. Dai migranti morti a Steccato di Cutro agli operai che sono saliti sulla ciminiera dell’impianto di Portovesme, a centro metri d’altezza, per cercare di scongiurare tragedie come la cassa integrazione di millecinquecento lavoratori, il fermo degli impianti e il licenziamento di sessantadue interinali, passando per i giovani minacciati e picchiati a Firenze nel corso di un’azione che profuma di squadrismo, per la preside attaccata per aver richiamato i valori dell’anti-fascismo e per molte altre realtà che avvertono il bisogno di un calore umano e di una vicinanza che finora non si è vista: è questa l’Italia cui si deve rivolgere il nuovo Partito Democratico, smettendola di aver paura di essere di sinistra, prendendo per mano chi finora è stato escluso, restituendo fiducia ed entusiasmo alle generazioni che finora hanno conosciuto solo precariato e sfruttamento e facendo della scuola pubblica la propria bandiera, anche perché il merito senza ascensore sociale e attenzione nei confronti dei più deboli altro non è che darwinismo.
Cara Elly, volendo citare un bellissimo verso di Jovanotti, benché abusato dalle parti del PD, sappi che, nonostante tutte le delusioni che la politica mi ha inferto, io “mi fido di te”.

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