Regolamento sul diritto d’autore: un passo avanti e due indietro

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In principio fu la direttiva dell’unione europea (n.790) -varata nel marzo del 2019- sul diritto d’autore nel mercato unico digitale. Quel testo fu oggetto di un vero e proprio scontro politico, persino inedito nella volgarità delle forme. Si scatenò, infatti, un doppio fondamentalismo: da una parte gli editori della carta stampata a corto di strategie e quindi indotti a raccogliere le briciole pur di sopravvivere; dall’altra gli oligarchi della rete pronti a coprire le proprie volontà di potenza con la bandiera sbiadita della libertà. Mancò, e non solo in tale vicenda, una solida cultura riformista e innovativa, in grado di connettere il sacrosanto rispetto del lavoro intellettuale alla rivoluzione cognitiva indotta dall’età digitale. In quest’ultima, attualissima, stagione sono assai meno certe le denominazioni del periodo analogico. Le antiche unità di spazio e di tempo si ibridano in un pulviscolo di fonti emittenti che vanno e vengono senza – per evocare un compianto autore- un vero centro di gravità permanente. Insomma, quella direttiva nacque già ingiallita e segnata da logiche travolte dal flusso velocissimo dell’informazione numerica.

Dura lex, sed lex recita la voce fuori campo. Tuttavia, se il decreto legislativo n.177 del 2021, che recepì la norma europea, era già una reinterpretazione italiana del testo concedendosi qualche licenza di troppo, il regolamento varato lo scorso giovedì dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni in materia di equo compenso per le pubblicazioni giornalistiche in rete va persino oltre. Vale a dire, si immerge in territori che dovrebbero attenere alle dialettiche contrattuali. Sul punto ha dichiarato criticamente la consigliera Giomi, che ha dissentito nel voto sottolineando le incongruenze della decisione.

L’aspetto positivo del regolamento sta nel riconoscimento dell’impegno editoriale, spesso sfruttato dagli Over The Top che hanno un atteggiamento predatorio e padronale, a scapito del diritto d’autore. In verità, il tema sfugge a gabbie tanto rigide quanto di fatto evanescenti. Ad esempio, il compenso stabilito sulla base (fino al 70%) della pubblicità raccolta in rete grazie ai contenuti utilizzati non è facilmente calcolabile e il rinvio all’Agcom per dirimere i prevedibili contenziosi sa di premessa per moltiplicare i probabili ricorsi. Comunque, è un passo avanti rispetto alla giungla odierna, foriera di falsificazioni e di fake.

Ugualmente, si può salutare con un sorvegliato plauso la messa in causa delle rassegne stampa che popolano ovunque, diffondendo senza alcun riconoscimento economico articoli scritti da giornaliste e giornalisti in carne e ossa.

E qui cominciano i lati discutibili del provvedimento. Sono gli editori ad essere risarciti, mentre non è chiaro se la catena del valore si riverberi sull’attività giornalistica. Bene ha fatto ad evocare tale questione il segretario della federazione nazionale della stampa Raffaele Lorusso. Mentre le urla di gioia degli editori non depongono a favore dell’equilibrio dell’articolato.

Inoltre, altro problema delicato è la disamina dei beneficiari: chi si gioverà dell’equo compenso? Il marchingegno complicato previsto sarà appannaggio dei gruppi più grandi, capaci di seguire attraverso appositi uffici legali una procedura così contorta.

Comunque, le piattaforme – al di là di qualche lacrima di coccodrillo- si prenderanno il prelibato malloppo a prezzi di saldo. Manca una riflessione su come si definisca il profitto nella rete, oltre al computo strettamente finanziario. Va da sé che l’utilizzo dell’opera intellettuale contribuisce alla reputazione di un social in modo ben difficilmente misurabile. Se in rete si fa informazione è lì che si dovrebbe intervenire.

Infine, un’annotazione di stile. Per scrivere del regolamento ci si è avvalsi unicamente di un comunicato stampa dell’Agcom, ancorché piuttosto dettagliato. Ma il testo dov’è? Non sarebbe stato meglio far precedere la divulgazione al suo annuncio? Si attende, dunque, di leggere a approfondire qualcosa di compiuto. Però, non è una cosa seria.
(Nella foto la sede dell’Agcom)


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