Miracoli visivi contemporanei. “Saint Omer”, di Alice Diop, Fra, 2022. Primi piani su destini paralleli

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Un’opera tanto rara quanto necessaria. E’ cinema sublime che pensa e fa pensare, riflettere, come non accade spesso. Rama (Kayijge Kagame), docente e scrittrice in attesa di un figlio, e Laurence (Guslagie Malanda), madre infanticida, incrociano le loro vite, in un tribunale, sulla via del libro su Medea che la prima sta scrivendo. Le inquietudini esistenziali delle due protagoniste si muovono tra ragione e sensazioni, paure ataviche e psicanalisi, radici etniche comuni e traumi infantili. L’estetica dei primissimi piani attivata dalla Diop ci stringe in una verità impossibile da cogliere perchè la realtà è complessa, non ammette soluzioni facili ma ricerca continua verso approdi umani. Il film segue una logica narrativa interna fatta di flashback e montaggi alternati, necessari a strutturare dinamiche difficili da vivere e ancora più difficili da raccontare. Un’opera di esordio davvero sorprendente, capace di fondere sguardo sul reale e analisi interiore. Le citazioni dei sublimi dialoghi di Marguerite Duras per “Hiroshima mon amour” di Alain Resnais e la terribile bellezza delle sequenze della “Medea” di Pasolini, sono inserite in un contesto visivo e narrativo così potente che le esalta fino a farle, magicamente, fondere con i motivi inediti della Diop.

“Rimini”, di Ulrich Seidl, Ger-Austria-Fra, 2022.

Alla ricerca di una impossibile felicità

Cinema che si fa saggio e poesia insieme. Richie Bravo (Michael Thomas), cantante austriaco in una Rimini invernale, imbolsito e alla ricerca di soldi, si muove tra turisti attempati suoi connazionali, che intrattiene con struggenti canzoni alla Elvis Presley, e donne anziane che lo pagano per le sue prestazioni sessuali. Metafora di un Occidente in disfacimento, il film di Seidl mette in scena immagini che da sole sembrano raccontare più di mille libri di sociologia e psicologia messi insieme. Eros e Thanathos si sposano terribilmente, alla ricerca di una disperata felicità, in un mondo privo di ogni valore e significato, in balia del denaro e della mera sopravvivenza. Ogni alito di dignità è sepolto sotto la valanga della debolezza umana, costretta anche a fare i conti con una realtà spietata, in cui gli immigrati sono solo manichini e l’amore di una figlia per un padre ritrovato e farabutto si sostanzia solo in una richiesta incessante di denaro riparatore. La tenerezza sfiora tutti i protagonisti di questa immensa opera, anche chi si macchia delle peggiori gesta: Richie Bravo, la figlia, il padre vecchio e malato, chiuso in una casa di riposo lager, dove inneggia ancora, in preda all’Alzheimer, all’Hitler della sua gioventù, ultimo gesto simbolico di una vita storicamente sprecata e adesso implorante la madre come estremo, delirante e necessario richiamo d’amore. Solitudini agghiaccianti e una Rimini gelata e nebbiosa fanno da sfondo alle melodie struggenti di un disperato entertainer che gira a vuoto in un mondo che non c’è più, chiuso nelle mille gabbie della geniale scenografia claustrofobica attorno a cui si muovono fantasmi alla ricerca del niente…

“I morti rimangono con la bocca aperta”, di Fabrizio Ferraro, Ita, 2022.

L’uomo, la Storia, l’inconoscibile

 

Titolo stupendo quello del nuovo straordinario film di Fabrizio Ferraro, presentato in concorso nella sezione “Progressive cinema”, all’ultima Festa del cinema di Roma.

Immerso nell’Appennino abruzzese, il pittorico e abbacinante bianco e nero di Ferraro ci guida verso i sentieri della libertà in compagnia di 4 giovani partigiani e di una giovane e misteriosa ragazza. Dialoghi essenziali, scarni, alternanza di campi lunghissimi e primi piani, pause contemplative, senso dell’attesa, accensioni di vita e morte. Tutto il racconto sembra proiettato verso l’ignoto, l’inconoscibile, l’inafferabile (grande il ruolo metaforico dell’ambiente naturale, tra nebbia, bufere di neve e improvvisi chiarori), alla ricerca di una certezza assoluta, un nuovo mondo, necessario, obbligato, che deve, però, fare i conti con l’uomo, le sue debolezze e paure di sempre. Il contrasto è squassante, disorientante lo spettatore, calato dentro una realtà che non ha nè avrà mai un esito scontato. Un film storico che mette in campo la condizione esistenziale universale, senza tempo. Questo il motivo di fondo di un grande film, raro e prezioso, censurato dal mercato delle sale, che gli preferisce mediocrità e marketing dell’immagine spacciato per arte.

 


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