L’Iran e noi: se l’Occidente ignora i diritti 

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Mahsa Amini era una di noi, una cittadina del mondo, molto più di una semplice ragazza iraniana massacrata dalla polizia morale di quel Paese perché, a loro dire, indossava male il velo islamico. Già il fatto che in un paese possa esistere una polizia morale la dice lunga sul livello di democrazia di quel contesto. Non intendiamo giudicare nessuno, ritenendo da sempre sacro il valore relativo all’autodeterminazione dei popoli; certo è, tuttavia, che non possiamo rassegnarci a una simile barbarie. Allo stesso modo, non possiamo dimenticarci di Hadis Najafi, divenuta l’emblema delle proteste contro l’orrido governo iraniano per via dei suoi vent’anni, della sua treccia, della sua bellezza ma, soprattutto, della sua tragica fine, assassinata con sei colpi di pistola mentre si batteva per i propri ideali e per i diritti e la dignità di tutte le donne in un Paese che non ne riconosce quasi nessuno.
Non possiamo voltarci dall’altra parte, come invece purtroppo stiamo facendo. Lo stiamo facendo perché ci interessa unicamente il nostro ombelico, perché siamo confinati nei nostri angusti orizzonti, perché non abbiamo il senso del domani, perché siamo travolti dalla tragedia che sta sconvolgendo l’Ucraina e dalle conseguenze di cui quell’inferno è gravido ma anche perché a tanti, troppi di noi interessano unicamente le elezioni di casa propria e, al massimo, nei casi migliori, quelle dei paesi più importanti ed influenti; insomma, come occidentali abbiamo smarrito la coscienza dell’umanità. Di conseguenza, di ciò che accade in Africa e in Medio Oriente, del dramma che sta sconvolgendo l’Iran, dell’abisso di violenza che sta squassando l’Afghanistan dei talebani e dei vasti confini del pianeta non ce ne importa nulla. È l’indifferenza la vera cifra di questo tempo atroce, anche se va detto che le nuove generazioni stanno inviando segnali confortanti, come abbiamo visto in questi giorni a proposito del clima ma anche delle donne iraniane, con associazioni come Non una di meno pronte a mobilitarsi, a scendere rimpiazza e a far sentire la propria voce affinché quella di chi rischia la vita a poche ore di aereo da noi non cada nell’oblio.
Hanno fatto benissimo, specie se si considera che molti diritti sono a repentaglio anche alle nostre latitudini, a cominciare dall’aborto e dai diritti civili, contro cui temiamo che il governo di destra sfoggerà le proprie pulsioni identitarie. E la sinistra, ahinoi, è la grande assente, non solo in Italia, acuendo il senso di solitudine, sconforto e disincanto che pervade un’opinione pubblica sempre più incline all’astensionismo, a lasciarsi andare e ad accettare passivamente ciò che accettabile non è. E allora meno male che possiamo contare ancora su queste ragazze e questi ragazzi, sui loro sogni, sul loro entusiasmo, sulla loro passione civile e sulla loro incredibile purezza, che fa apparire il nostro cinismo ancora più crudele di quanto non sia. Meno male che una generazione, in Iran e non solo, non si arrende e rivendica con forza il diritto all’uguaglianza, la fine della violenza gratuita e la sconfitta di un odio che sta pervadendo la società a ogni latitudine. Meno male che in Iran sta succedendo di tutto e che, nonostante la repressione feroce cui stanno andando incontro ad opera del governo guidato da Ebrahim Raisi, questi giovani danno l’impressione di non volersi fermare, in aperto contrasto con la ferocia del regime degli ayatollah e con l’oscurantismo di un potere sempre più intollerabile e meschini. Siamo convinti che se sapremo combattere al loro fianco, se la nostra voce si leverà concretamente nelle strade, nelle piazze, sui social e ovunque ci sarà consentito, se il concetto stesso di “polizia morale” sarà messo al bando nell’opinione pubblica e se il jihadismo di cui sono vittime le donne sarà condannato con la dovuta intransigenza, qualcosa stavolta potrà cambiare davvero. Perché una nuova generazione sta dimostrando di non accettare più l’inaccettabile, di sentirsi vicina al dolore e alla sofferenza del prossimo e di aver elevato Mahsa e il suo martirio a simboli di tutto ciò che dev’essere cambiato nel mondo. L’importante, adesso, è avere il coraggio di non arrendersi, di continuare lungo questa strada e di unire le lotte: diritti sociali, diritti civili, donne, istruzione, ambiente e tutto ciò che riguarda il progresso e la giustizia, a ogni latitudine, senza escludere nessuno e senza lasciare nessuno indietro. Una sinistra in grado di avere un futuro, un’opinione pubblica consapevole e una società migliore si costruiscono innanzitutto così, fremendo di sdegno per ciò che avviene sotto i nostri occhi, benché qualche migliaio di chilometri ci distanzi dal teatro delle maggiori atrocità.

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